L’ultimo successo sul fronte della diagnosi prenatale all’Azienda Villa Sofia-Cervello, frutto della collaborazione pubblico-privato con la Fondazione Franco e Piera Cutino, si chiama Sindrome di Cockayne. Uno “step” che ha anche suggellato la pubblicazione della ricerca per la celocentesi sulla rivista internazionale Prenatal Diagnosis, la più autorevole del settore. Un passo avanti nel campo dell’indagine genetica arriva dunque in queste ultime settimane dal Campus di Ematologia “Cutino”.
Per la prima volta è stata infatti applicata la celocentesi per verificare su una donna italiana in gravidanza la presenza nel feto della sindrome di Cockayne, una malattia genetica rara, autosomica recessiva, con una statistica di un caso su 200mila, che produce ritardo progressivo della crescita, bassa statura, microcefalia e altre anomalie facciali, invecchiamento precoce, deficit cognitivo e sordità, retinite pigmentosa.
La donna desiderava avere un altro figlio dopo la prima, affetta dalla stessa malattia, deceduta all’età di tre anni e ha richiesto, ancor prima di essere in gravidanza, di effettuare la diagnosi prenatale presso Villa Sofia-Cervello attraverso la celocentesi. Al Campus di Ematologia è stato quindi sviluppato uno specifico protocollo diagnostico per l’analisi molecolare del gene responsabile della malattia per essere utilizzato con cellule selezionate dal liquido celomatico. All’ottava settimana di gravidanza è stata eseguita la celocentesi e in pochi giorni è stato possibile dare una risposta sul genotipo fetale. Conoscere subito, ancor prima degli esami tradizionali, se il feto è affetto o meno da una grave patologia, offre la possibilità di decidere con maggiore tempo e consapevolezza il percorso da intraprendere.
“La possibilità di estendere la celocentesi, inizialmente nata per la talassemia, anche ad altre malattie monogeniche nel caso in cui siano già note le mutazioni – spiega Aurelio Maggio direttore del Dipartimento di Onco-ematologia e dell’Unità di ematologia per le malattie rare del sangue di Villa Sofia-Cervello – apre nuovi orizzonti per tutte quelle sindromi genetiche con grave espressività clinica, così come è stato nel caso della diagnosi prenatale per la sindrome di Cockayne. Il nostro percorso sperimentale-diagnostico prevede la possibilità di applicare la celocentesi anche nella diagnosi di patologie cromosomiche, come la sindrome di Down.
I risultati preliminari ottenuti dai nostri ricercatori sono promettenti e lasciano ben sperare per la realizzazione di un nuovo test precoce per lo studio del cariotipo fetale entro breve tempo. Questo risultato conferma, ancora una volta, come l’Azienda Villa Sofia- Cervello, sia “leader” italiano nel settore della genetica”.
Lo studio della celocentesi, nato dieci anni fa e sostenuto dalla Fondazione Franco e Piera Cutino che ha contribuito al finanziamento dei ricercatori dedicati alla sperimentazione e allo sviluppo delle procedure, ha visto finora effettuare 330 procedure diagnostiche per la talassemia di cui il 12% per pazienti provenienti da altre regioni e si è poi esteso, grazie all’attività di ricerca, alla diagnosi prenatale per altre patologie. Tutto questo è valso adesso l’attenzione di Prenatal Diagnosis, rivista internazionale edita a Boston e riferimento numero uno nel campo, che nel prossimo numero in uscita pubblicherà questo significativo lavoro scientifico, riportando fra l’altro in copertina la foto delle cellule prelevate dal liquido celomatico.
Per Antonino Giambona, responsabile del laboratorio di riferimento regionale per lo screening e la diagnosi prenatale di emoglobinopatie e Francesca Damiani responsabile dell’Unità Operativa di diagnosi prenatale (appartenente all’Unità di Ostetricia e Ginecologia diretta da Antonio Perino) “la collaborazione tra le Unità Operative di Ematologia per le malattie rare del sangue, l’Unità di Diagnosi Prenatale, l’Obstetrics and Gynecology, Ioannina University Hospital di Ioannina (Grecia), e l’Harris Birthright Research Center for Fetal Medicine, King’s College di Londra, ha permesso di sviluppare una “Flow Work” cioè una procedura diagnostica valida per prelevare ed esaminare le cellule fetali presenti nel liquido celomatico. Le nostre ricerche hanno permesso di identificare le cellule fetali e sviluppare delle metodologie per la loro selezione ed analisi. I risultati ottenuti hanno consentito di effettuare la diagnosi prenatale di talassemia in epoca molto precoce (7-9 settimane di gestazione) mediante celocentesi in oltre trecento coppie a rischio. Attualmente i dati riportati in questo lavoro scientifico sono unici al mondo in quanto sono state superate le difficoltà riportate da molti altri ricercatori”. “Sono trascorsi diversi anni – dichiara Giuseppe Cutino, presidente della Fondazione Franco e Piera Cutino – da quando la nostra Fondazione ha iniziato a investire sulla prevenzione con la celocentesi. E’ stata una strada lunga e complessa quella che abbiamo attraversato con i ricercatori del Campus di Ematologia Cutino. Ma il sostegno economico messo a disposizione ha mostrato che la ricerca intrapresa era valida e che la strada imboccata era quella corretta. Oggi sapere che la celocentesi, pensata all’inizio soltanto per la talassemia, si possa utilizzare per conoscere in largo anticipo lo stato del feto anche per altre cromosopatie, mi riempie di gioia e orgoglio. Gioia perché tante altre coppie potranno avvalersi di questa tecnica; orgoglio perché ancora una volta la Fondazione Cutino mostra come anche in Sicilia si possa fare della ricerca di eccellenza unica in tutto il mondo. Per questo ringrazio il prof. Aurelio Maggio e tutta l’equipe da lui coordinata, ma soprattutto i nostri amici donatori senza i quali questo risultato non sarebbe stato mai raggiunto”.
Il percorso che ha portato a questi risultati ha visto il contributo di Maria Piccione, genetista, responsabile del Centro di riferimento regionale per le malattie rare e la sindrome di Down di Villa Sofia-Cervello e referente regionale per le malattie rare, e degli staff di medici e ricercatori della dr.ssa Damiani con Giovanna Schillaci, Emanuela Orlandi, Valentina Cigna e Anna Spata e del dr. Giambona con Filippo Leto, Cristina Passarello, Margherita Vinciguerra, Monica Cannata, Filippo Cassarà, Anna Crivello.
La celocentesi rappresenta la procedura di diagnostica prenatale più precoce che viene offerta alle coppie a 7-9 settimane, con un anticipo notevole rispetto ad altri esami fetali invasivi come la villocentesi e l’amniocentesi (che si svolgono rispettivamente dopo la undicesima e sedicesima settimana). In tal modo la coppia ha un tempo maggiore per prendere una decisione consapevole nel caso in cui il feto dovesse risultare affetto. La celocentesi “sfrutta” la possibilità offerta dalla cavità celomatica di ottenere cellule di origine fetale che possono essere esaminate. Intorno alla V settimana di gestazione, infatti, le uniche strutture embriologiche visibili ad un esame ecografico sono la placenta primitiva e la cavità celomatica. In questa epoca, la cavità amniotica che contiene il feto, è più piccola della cavità celomatica. Dalla IX settimana la cavità amniotica cresce di volume mentre la celomatica si assottiglia sempre di più fino a scomparire del tutto intorno alla XII settimana di gestazione. Tra la VII e la IX settimana di gestazione è possibile quindi prelevare una piccola quantità di liquido celomatico (circa 1 ml) per via transvaginale sotto controllo ecografico, ed effettuare la diagnosi prenatale utilizzando il DNA estratto dalle cellule di origine fetale presenti nel liquido. La fattibilità della celocentesi è prossima al 100%, per l’attendibilità diagnostica, in nessun caso sono stati riscontrati errori diagnostici dopo controllo post celocentesi. I tempi di risposta sono di circa 5 giorni lavorativi durante i quali viene conclusa e comunicata la diagnosi. Ciò potrebbe consentire alla donna di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, se richiesta, e non all’aborto terapeutico, con un beneficio sia fisico che emotivo. (info Ematologia II – Ospedale Cervello 091-6802770).
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