Con la relazione del presidente della Corte di Appello di Palermo, Gioacchino Natoli, si e’ aperta la cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario. I giudici togati seduti negli scranni ascoltano il presidente che espone i dati riguardanti l’attivita’ giudiziaria del distretto di Palermo, che comprende le Procure di Agrigento, Sciacca, Marsala, Trapani, Palermo e Termini Imerese ed e’ per dimensioni il quinto dei 26 distretti italiani.
Presenti anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando, il presidente della Regione Rosario Crocetta, il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, e il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone.
“Il settore dei reati contro la pubblica amministrazione, rivela una preoccupante escalation sia sul piano numerico sia sul piano della gravita’ intrinseca e dell’intensita’ dell’allarme sociale, da 2.853 a 3.561 con un aumento percentuale del 25%. Di tale aumento, la maggior rilevanza hanno i reati di peculato passati da 100 a 142″.
Lo afferma il presidente della Corte di Appello di Palermo Gioacchino Natoli nella sua relazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.
“La diffusione capillare dei fenomeni corruttivi nell’ambito della pubblica amministrazione, che nel corso dell’ultimo anno e’ emersa con particolare evidenza e che in concreto non ha risparmiato alcun settore pubblico – continua -, e la complessita’ delle indagini necessarie per individuare i sofisticati meccanismi che spesso vengono utilizzati per occultare le condotte illecite, la sostanziale inefficienza dei sistemi di controllo interno, portano ancora una volta alla ricognizione di quel sistema corruttivo, del quale si e’ gia’ parlato in passato e che nei fatti continua a contrapporsi come un macigno alle continue rivendicazioni di legalita’ che provengono dalle persone investite di responsabilita’ pubbliche”.
“Invero – prosegue il presidente della Corte d’Appello – continuano a venire alla luce vicende nelle quali dipendenti
pubblici, in molti casi nemmeno collocati in ruoli apicali, sono riusciti ad operare illecitamente in modo indisturbato, mettendo a punto complessi meccanismi corruttivi e fraudolenti, mantenendoli in funzione per lunghi periodi nell’indifferenza generale e godendo quindi di sostanziale connivenza all’interno del loro ambiente di lavoro. Tutto cio’ ha certamente determinato un pregiudizio grave e concreto per il cittadino, utente delle prestazioni e dei servizi pubblici, che ha dovuto verificare costantemente e con rassegnazione come l’inefficienza dell’amministrazione possa costituire la premessa per l’attivazione di ‘scorciatoie’ ben remunerate, che consentono – conclude Natoli – di superarne regole e tempi di attesa e che spesso, specie nelle piccole realta’, determinano uno sperimentato veicolo di affermazione del potere mafioso, che se ne attribuisce il controllo”.
“Un significativo effetto dell’intensa attivita’ investigativa e’ costituito dai numerosi arresti eseguiti per reati di mafia, spesso a seguito di articolate operazioni di Polizia, che hanno ulteriormente scompaginato l’organizzazione, dopo le precedenti azioni repressive degli anni scorsi, e stroncato sul nascere taluni segnalati tentativi di ricostituzione”.
“Gli arresti – continua Natoli – sono stati inoltre accompagnati di frequente da sequestri di beni per importi estremamente rilevanti, che hanno consentito l’acquisizione allo Stato di ingenti patrimoni illecitamente accumulati e privato l’organizzazione di rilevanti fonti di sostentamento. Nel corso dell’anno, inoltre, le decisioni degli organi giudicanti hanno dato atto della correttezza della azione investigativa, affermando di regola la penale responsabilita’ delle persone tratte a giudizio per reati di mafia. Il panorama offerto dalle indagini – prosegue il presidente della Corte d’Appello – mostra pero’ come la presenza di cosa nostra sul territorio rimanga ancora diffusa e pervasiva. Cosi’ non subisce arretramenti, se non per le difficolta’ derivate dalla crisi economica, la sistematica imposizione del pizzo alle attivita’ commerciali e alle imprese, cosi’ come la conquista del monopolio sul traffico di sostanze stupefacenti, altamente ed
immediatamente remunerativo”.
“Ma il dato piu’ significativo – aggiunge – e’ rappresentato dalla permanente e molto attiva opera di infiltrazione, da parte di cosa nostra, in ogni settore dell’attivita’ economica e finanziaria, che consenta il fruttuoso reinvestimento dei proventi illeciti, oltre che nei meccanismi di funzionamento della pubblica amministrazione, in particolare nell’ambito degli enti locali. Non si puo’ di certo dubitare che l’espansione inarrestabile dei fenomeni di corruzione, dei quali le indagini svolte dalla Procura nell’ambito dei reati contro la pubblica amministrazione forniscono ampia testimonianza, possa sfuggire al controllo ed alla interessata partecipazione da parte di cosa nostra, seppure collocata in posizione defilata e al riparo dalla diretta esposizione, come invece avveniva in passato. Appare necessario pertanto – conclude Natoli – che l’azione investigativa, pur senza attenuare il costante controllo del territorio attualmente esercitato, rivolga le sue attenzioni, con criteri oculati e selettivi, ai canali e meccanismi di infiltrazione mafiosa nei settori dell’impiego delle risorse pubbliche e degli investimenti pubblici e privati: ed il tal senso l’azione della Procura sta concentrando i suoi sforzi, sia approfondendo le indagini sul fenomeno corruttivo, sia sfruttando le capacita’ operative e la professionalita’ delle forze di polizia (in particolare della Polizia di Stato), sia costituendo nuovi canali di comunicazione con altre istituzioni responsabili del controllo dei flussi finanziari ed economici”.
“Non ho alcun dubbio sulla serieta’, il rigore, la professionalita’ e la dedizione di gran parte della magistratura italiana e di quella di questo distretto, cui e’ demandata un’attivita’ di contrasto alla criminalita’ e alle mafie di estrema delicatezza e difficolta’. La discussione che nel Paese circola intorno al significato dell’antimafia deve servire ad aggiornare gli strumenti e a moltiplicare le risposte. Non certo a ridurne la portata o gli investimenti su di essa”. Lo ha detto il ministro della Giustizia, Andrea Orlando.
“Non c’e’ Stato – ha continuato – dove la criminalita’ spadroneggia, non c’e’ crescita civile, ne’ sviluppo, ne’ futuro per le nuove generazioni. Le mafie non sono solo nostre nemiche perche’ violano il codice penale e perche’ mettono in discussione i principi fondamentali della nostra Costituzione. Sono qui per questo – ha concluso -, perche’ penso che questo impegno vada rinnovato, perche’ penso che sia giusto farlo qui, a Palermo e dalla Sicilia”.
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