Assistiamo ad una corsa disperata, folle e incomprensibile. La corsa alla riabilitazione di un personaggio della nostra storia politica: Bettino Craxi. Che vent’anni fa esatti, oggi, moriva ad Hammamet. Da esule, da rifugiato politico, dicono in tanti. Tecnicamente, al di là di ogni possibile revanscimo, Craxi è morto da latitante.
Inutile girarci attorno e inutile pure offendersi. Come ha detto Gherardo Colombo che componeva il pool Mani Pulite di Milano “le leggi si applicano a tutti allo stesso modo, e quindi dopo la prima condanna definitiva Craxi è diventato un latitante”.
Nessun giudizio. Solo un dato di cronaca. Che non sminuisce la portata politica e storica della sua figura. E in fondo è facile definire Bettino Craxi uno statista ed essere sicuri che lo sia stato. Come negarlo? Tanto più facile se il confronto è con l’assoluta povertà culturale dei suoi successori. Un gigante in un popolo di nani.
Tuttavia un cattivo padre. Da lui, da Andreotti (per indentificare in due soli monoliti di quel blocco di governo) ci è arrivata la dote di Silvio Berlusconi e dei suoi vent’anni al centro della scena. Da Berlusconi e dalla sua pessima cultura televisiva nasce anche l’approccio spottistico alla politica di Matteo Renzi (affine al cavaliere certamente per i modi e la sfacciataggine). Da Berlusconi che è stato fratello di sangue di Bettino (e che oggi consegna il suo messaggio al pellegrinaggio ad Hammamet di tanti forzisti: “A Bettino mi legava un’amicizia sincera, profonda”) si deve l’emersione dal nulla di personaggi come Umberto Bossi, da cui la devianza di un movimento come la Lega affida oggi la leadership a Matteo Salvini.
Certamente una sintesi estrema di un periodo storico che non salva nemmeno la magistratura e l’uso politico della propria azione. Sul futuro dopo Craxi e sul presente politico di Antonio Di Pietro val la pena soprassedere del tutto. Perché il suo giustizialismo ha generato frutti marci anche questi. Onestà, onestà e odore di manette non costruiscono una democrazia matura. E i 5stelle stanno implodendo al suono di un cacofonico vaffanculo che adesso i suoi esponenti si rivolgono l’un l’altro.
E nemmeno l’eredità morale di Aldo Moro, bloccato dal terrorismo, e di Enrico Berlinguer, che in quella morte ha visto esaurirsi la prospettiva potenzialmente salvifica del compromesso storico, è stata da colta da alcuno. “Colpevoli” di non aver fatto figli.
Una desolazione. La domanda, dunque è: stavamo meglio quando stavamo peggio?
Certo che no. E i revisionismi non aiutano ad affrancarsi da un passato buio e dal ricordo di una pioggia di monetine che ha cancellato in un solo gesto quella che è passata alla storia come la Prima Repubblica. Ma la seconda non è stata migliore e se siamo nella terza forse è anche peggio.
Cattivi padri e figli stupidi. Capita anche nelle migliori famiglie. E l’Italia oggi è una grande “migliore famiglia
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