Pamela Villoresi è la nuova direttrice del Teatro Biondo, per i prossimi 5 anni. Il Consiglio di amministrazione ha votato il suo nome all’unanimità, riconoscendo in tal modo la sua grande competenza, professionalità e amore per il teatro che esprime sui palcoscenici di tutto il mondo da tantissimi anni.
Signora Villoresi, la sua prima dichiarazione quando sei mesi fa ha assunto questa importante responsabilità è stata: “Voglio portare il Teatro Biondo in Europa”. Oggi come stanno le cose? Pensa che il Biondo sia già più vicino all’Europa?
Penso innanzitutto che il Teatro sia più vicino alla città. Ha aperto le sue porte e si è calato in città. Nel percorso di apertura è per noi fondamentale la presenza di Emma Dante, artista di livello e di fama, che è in grado di spalancarci le porte verso il resto del mondo, ove lei è ampiamente conosciuta ed apprezzata. Abbiamo poi stretto varie collaborazioni a livello europeo, partendo anche dal grande passato del Biondo, perché come dice Kalil Gibran: “Se si vuol scagliare la freccia molto in avanti bisogna tirare l’arco all’indietro”, la prima sara’ infatti con Wuppertal. Trent’anni fa debuttava da noi lo spettacolo “Palermo Palermo” e dieci anni fa ci ha lasciati Pina Bausch, cui si deve la nascita del famosissimo Teatrodanza. Il 3 novembre avremo la prima esclusiva mondiale del film creato con le riprese, di allora, delle prove e sulla nostra città. Il progetto, curato e organizzato dal Teatro Biondo e dalla Pina Bausch Foundation, sfocerà in un nuovo spettacolo, con danzatori del nostro territorio e curato dai collaboratori storici di Pina, e dedicato alla città con la quale la coreografa aveva un rapporto personale molto forte. A seguito della proiezione i loro ballerini terranno uno stage dedicato agli allievi della nostra scuola. In primavera ci sarà un vero e proprio laboratorio in cui verranno selezionati danzatori per il nuovo spettacolo che si terrà a Palermo e che si chiamerà forse palermoWpalermo, dove “W” sta per Wuppertal – o per evviva-, sede della Compagnia di Pina Bausch e della Fondazione a lei intestata e diretta dal figlio Salomon Bausch. Questi artisti palermitani, unitamente a quelli scelti da Wuppertal in tutto il mondo, formeranno una nuova giovane compagnia: per noi sarà un evento assolutamente importante.
Ci sono altre collaborazioni in programma?
È in atto una coproduzione con il teatro di Tunisi e la Cité de la Culture. La Francia sarà presente con Avignone e uno spettacolo di Emma Dante. Aurelian Bory farà uno spettacolo di Danza Circo. Stiamo cercando di diventare una vetrina per le cose più belle del panorama artistico internazionale, però anche un trampolino di lancio per una serie di artisti del territorio che vogliamo promuovere e far conoscere nel circuito diciamo di “serie A”. Tra questi cito il bravo Fabrizio Falco che dirigerà nella prossima stagione un Molière.
A tal proposito: Palermo vanta molte giovani compagnie teatrali. Che tipo di rapporti pensa di poter intrattenere con queste realtà. Come si possono aiutare i giovani che intendono intraprendere la carriera teatrale?
Il mio primo obiettivo è stato e continua ad essere quello di conoscerli tutti e il più presto possibile. Significa incontrare tante persone, e andare a conoscerli nei loro teatri. Ho ricevuto proposte veramente interessanti e straordinarie. Io non riuscirei nemmeno a pensarle tutte le cose curiose che mi vengono proposte. Parlo soprattutto di alcuni approfondimenti fatti su tracciati storici o leggendari, o su esplorazioni culturali davvero interessanti. Un direttore che vuol fare un cartellone ricco di proposte non può che mettersi in ascolto. Lo sto facendo, ci vorrà del tempo, non potrò accontentare tutti, ma è un lavoro che intendo portare avanti perché ne capisco il valore per il nostro Teatro e per la città. Dunque giovani siciliani ma non solo: un cartellone deve trovare un giusto equilibrio tra i grandi classici e le nuove proposte, deve poter accontentare tutti gli spettatori. Quello che cercheremo sempre di fare è invitare i registi delle nostre produzioni a scegliere artisti del territorio. Abbiamo fatto anche di recente dei provini e gli attori sono stati scelti qui, perciò invitiamo tutti i professionisti a mandare il curriculum.
Lei ha voluto chiamare la prima stagione estiva da lei curata: Vocazioni. Perché questo titolo?
Vocazione è qualcosa a cui uno è chiamato. Siamo partiti dalla vocazione del Teatro per uscire dal Teatro e far scoprire luoghi anche desueti della città. Per esempio Maredolce che è un luogo poco conosciuto di Palermo, oppure il chiostro di Sant’Antonino, appena restaurato. E poi è bello che la gente racconti delle proprie vocazioni. Sono venuti il filosofo Mancuso, il gesuita Gamberini… ma anche gli spettacoli parlano di vocazione: quella di Borsellino, di cui è stata fatta una rappresentazione, non era una vocazione, forse? E poi per anni ho diretto il Festival sulla Spiritualità, che si chiamava Divinamente Roma, che abbiamo portato anche a New York dove gli artisti parlavano del loro percorso spirituale oppure delle cose subite a causa dei fanatismi religiosi. A me piace parlare di cose profonde e anche una rassegna estiva, seppure più di intrattenimento di quella invernale, può essere un’occasione.
E allora come è accaduto che da Vocazioni si è passati per la stagione 2019-20 a “Traghetti”. Umanità in movimento. …. Noi partiamo da Palermo noi approdiamo a Palermo. Ce lo spiega?
Traghetti indica innanzitutto la stagione del traghettamento tra il direttore precedente e quello attuale. Ma anche perché è un tema molto importante tutto ciò che conduce l’umanità da un punto ad un altro. In tal senso anche Leonardo, di cui abbiamo uno spettacolo in programma, è stato un traghetto dal passato al futuro, da una dimensione ad un’altra. E poi mi piace questa idea di una umanità in movimento e quindi anche di un teatro in movimento.
Il sottotitolo dice: Noi partiamo da Palermo noi approdiamo a Palermo. Perché?
È il senso del giro del mondo: si parte da qui non per andarsene via ma per tornare, per scegliere di stare qui. Tanti artisti stanno decidendo di tornare a vivere in questa città… che si merita di non perdere i propri talenti.
Nella sua vita ha avuto grandi maestri, primo tra tutti Giorgio Strehler. Che significa riconoscere una persona come maestro? È uno che insegna i trucchi del mestiere? Come arrabattarsi nella vita? Uno che comunica un senso per vivere?
Da un maestro come Strehler ho imparato soprattutto un atteggiamento rispetto al nostro mestiere fatto di responsabilità, di serietà, ma anche di abbandono al gioco. Più in concreto ho imparato a studiare tutto quello che è possibile studiare dell’autore, dell’epoca in cui viveva, ripercorrendo magari il percorso delle radici della scrittura del testo, per saper tradurre una parola scritta in emozione; perché, come dice Mario Luzi, la poesia affonda le radici nel magma umano. Allora il compito dell’interprete è, sempre citando Mario Luzi, quello di leggere il nero e il bianco, il testo e i suoi intervalli, per sé stessi e per altri ancora più inesperti che non osano farlo. Per fare questo Giorgio Strehler ha dato a me e a tanti altri proprio i ferri del mestiere, l’attitudine al rispetto, allo studio, al gioco, ci ha insegnato a non avere pregiudizi, a buttarsi, a lasciarsi andare, ad essere generosi: abbiamo una grande responsabilità.
Si può sostituire nel suo dire la parola gioco con la parola vita?
Certamente sì. Il teatro ci insegna a vivere, ci fornisce gli strumenti per dare risposte più appropriate alla propria esistenza.
Anche lei è un maestro sia per quello che dice con la sua esperienza sia perché ha intrapreso attività formative di spessore culturale. Che significa oggi essere maestri, in un contesto in cui sembra che tutti sappiano già tutto?
Certamente anch’io dopo 47 anni di teatro ho qualcosa da insegnare. Ma in questo momento mi viene di pensare ad Emma Dante e al rapporto che ha con i suoi allievi che adesso sto cominciando a conoscere e coinvolgere nel nostro lavoro. Da quello che sanno fare e hanno imparato da lei capisco che son diventati un gruppo, un corpo solo.
Ma come si fa ad essere maestri per i giovani di oggi che credono di sapere tutto sol perché tengono in mano un telefonino?
Credo a tal proposito che, come dice Moni Ovadia, in questo strumento che tengo in mano- anche in questo momento in cui parlo – c’è tutto se so cosa cercare. Lo dico con un esempio: io ho a casa una libreria con 5.000 volumi; se poi ogni mese vedo 15 spettacoli e ascolto centinaia di persone allora so cosa cercare su internet. Ma se non ho conoscenza è come mettere un mitra in mano ad una scimmia; trovi solo spazzatura. E internet è pieno anche di spazzatura. Se non mi metto nelle condizioni di sapere cosa cercare nella rete, il più moderno telefonino non mi serve a nulla.
E quale è il rapporto con l’esperienza? La conoscenza deriva anche dalla esperienza?
Certamente sì. Ma non è solo un problema di età. Greta Tumber ha certamente più coscienza di un anziano che ha inquinato per anni con la sua attività industriale. Ma è indubbiamente vero che col terzo figlio si acquisisce più esperienza che dopo il primo.
Lei è anche direttrice del Festival della Spiritualità. Ma che spazio può avere oggi un tema come la spiritualità all’interno del teatro?
Il teatro mi ha insegnato tanto. Mi ha aperto al mondo e alla conoscenza della storia del mondo. Insomma mi ha fatto molto crescere. Però è vero che a un certo punto c’è l’esigenza di approfondire col teatro qualcosa che hai dentro. Così da dare una identità a quello che fai. Per cui la mia curiosità mi ha spinto a cimentarmi anche su temi più spirituali e di riflessione e devo dire che ho trovato sempre molto seguito e molto interesse. E poi non dimentichiamo che il teatro è di per sé spiritualità. Se mi è consentita la battuta noi attori siamo dei “sacerdoti laici”.
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