L’Ordine dei Medici di Palermo studia sei mosse che potrebbero rivoluzionare la sanità regionale. Formazione di nuovi medici, stop alla fuga dei talenti, recupero di risorse per innovare il sistema sanitario regionale, riallocando i fondi interni e intercettando i finanziamenti europei, snellimento burocratico e amministrativo, contenimento della mobilità extra regionale, appropriatezza prescrittiva e governo della spesa farmaceutica. E poi, un progetto siciliano ambizioso: curare il paziente oncologico nella sua abitazione.
Allo studio dell’Ordine professionale, guidato da Toti Amato, ci sono sei grandi sfide affidate ad altrettanti gruppi di lavoro per formulare proposte entro il prossimo semestre e analizzare la sostenibilità della spesa per realizzare la domiciliazione delle terapie oncologiche, in modo da decongestionare le strutture ospedaliere in vista di una sanità italiana regionalizzata.
I sei gruppi di lavoro sono stati presentati in occasione della giornata inaugurale “Sanità e autonomia differenziata in Sicilia”, che si è svolta lo scorso 3 dicembre a Villa Magnisi, sede dell’Ordine dei medici di Palermo, per richiamare ad un confronto determinante istituzioni, esperti e Omceo delle altre regioni meridionali.
Della domiciliazione delle terapie oncologiche ha parlato Roberto Bordonaro, direttore della U.o.c. di Oncologia medica P.O. Garibaldi-Nesima di Catania: “Qualunque progetto si voglia sviluppare, la sua sostenibilità non potrà prescindere da un’attenta analisi dei costi. Nell’affrontare il problema dei costi di gestione del cancro, bisogna considerare però che nel novero dei costi diretti e indiretti, ci sono costi che gravano direttamente sui pazienti correlati al trasporto, per raggiungere i luoghi di cura. In alcuni casi, sono spese alberghiere anche per chi li assiste, che si aggiungono ai costi correlati al tempo che il paziente e l’assistente perdono nelle strutture ospedaliere per seguire la terapia antitumorale. Una riduzione di spese, tempi e disagio sarebbe a loro vantaggio perché ne supporterebbe l’eventuale produttività. Spostare il trattamento dalla struttura ospedaliera al domicilio del paziente, qualora fattibile, rappresenterebbe, da una parte un riposizionamento dell’impegno di spesa, che passerebbe dal paziente e dalla famiglia al sistema sanitario, dall’altra però un riguadagno della capacità produttiva del paziente e del caregiver”.
Forti dubbi sono arrivati invece dal segretario regionale della Federazione italiana di medicina generale (Fimmg) Luigi Galvano: “Dal 2010 al 2017 – ha detto – sono emigrati in Europa oltre settemila Medici (dati MinSal), moltissimi dalle regioni del Sud, solo qualche unità è tornata. Questo, non solo a causa del così detto ‘imbuto formativo’, dovuto al fatto che, nonostante il numero chiuso, si laureano più medici dei posti disponibili per le specializzazioni e il corso di formazione in Medicina generale, ma anche perché in Europa sono pagati molto meglio sia durante la formazione postlaurea che nella professione, anche in Paesi che hanno una ricchezza simile alla nostra. Inoltre, i corsi di specializzazione messi a bando non sono un’adeguata espressione dei bisogni del cittadino e quindi del Ssn, che è il primo committente”.
“Nutro fortissime perplessità che qualsiasi tipo di progettualità – ha aggiunto Galvano – possa avere una ricaduta positiva sulla qualità della salute e delle cure dei cittadini ed essere economicamente e finanziariamente sostenibile se non si investe in un sistema capillare delle nuove tecnologie che l’informatica evoluta e l’intelligenza artificiale ci mettono a disposizione, e che sta nella primaria capacità di rendere il dato clinico comprensibile da un essere umano in ogni contesto e quindi da un qualunque algoritmo , semplice o complesso che sia. Le ricadute sarebbero una trasparenza assoluta, un contenimento degli sprechi e un agire medico più a misura dei bisogni dei cittadini. La Medicina generale sta puntando la sua azione primaria in questa direzione”.