Scrittore, giornalista, saggista e drammaturgo, Roberto Alajmo è una delle voci più autentiche della cultura italiana contemporanea. Di Palermo e delle sue tante sfaccettature, ha fatto paradigma e chiave di analisi. Roberto Alajmo verrà insignito lunedì prossimo della laurea honoris causa in Italianistica all’Università di Palermo. Oltre al rito, però, lo scrittore palermitano non rinuncia alla sua proverbiale verve, tra ironia e un pizzico di realismo.
“Una cerimonia come la consegna di una tesi honoris causa è un po’ come assistere da vivo al proprio funerale. Almeno così me l’immagino. Cioè tutti ti fanno un sacco di complimenti, però diciamo al funerale sarai morto, mentre invece alla laurea sei ancora vivo e te li puoi prendere quei complimenti. Puoi ringraziare gli amici. Insomma credo che non esiste una una condizione di maggiore felicità rispetto a quella di ricevere una laurea honoris causa nella mia città. Una città che io ho amato tantissimo, nella maniera controversa con cui si può amare Palermo, città con cui nell’ultimo periodo i rapporti si erano un po’ raffreddati. Eravamo dei vecchi coniugi che si sopportavano. Invece adesso si scopre che ancora un po’ di fuoco c’è ancora”.
Nel solco della migliore tradizione dei letterati siciliani verticali, da Sciascia, Bufalino, Alajmo fa con noi il punto sullo stato di salute della società siciliana. Che fine ha fatto, dunque, quella cipolla chiamata Palermo? “C’è una tendenza, come dire, a scivolare nel cinismo, nel rifugiarsi, nel cinismo, dire che tutto va male. Quindi è inutile fare qualsiasi cosa. Io questo cinismo, di cui ric,onosco i sintomi in me stesso, cerco di tenerlo a bada trasformandolo in ironia e cercando che questa ironia non diventi a sua volta una forma di consolazione, di autoassoluzione. Perché è una tendenza che noi abbiamo di ridere di noi stessi e quindi autoassolversi poi, in definitiva. E Palermo è una città che vive di questo tipo di indulgenze e secondo me. Bisogna essere severi con noi stessi e con la nostra città”.
Conduttore del tg Rai, cronista di punta dell’emittente di Stato, ha anche ricoperto ruoli di governo dei luoghi di cultura cittadina. Adesso lo scrittore e saggista rivendica anche il diritto a un composto silenzio. “Il mio non è un silenzio assenso, è il silenzio di chi sente che c’è già troppa confusione in giro e non ha voglia di salire sulla sedia e gridare più forte degli altri per farsi sentire. Per cui, rispetto a prima, io stesso mi rendo conto che intervengo meno per dire la mia. Non è che manchino le prediche mancano i pulpiti. Anche Leonardo Sciascia, se fosse vissuto oggi, sarebbe uno di quelli che si fanno massacrare su Facebook direttamente o indirettamente suo malgrado e quindi. Non so se sia una questione di intellettuali, sta di fatto che io personalmente osservo, parlo soltanto quando penso di avere veramente qualcosa da dire che non è stata già detta. Soprattutto cerco di scansare il più possibile qualsiasi polemica, perché finisce sempre con la lotta nel fango”.
Infine Alajmo una dedica particolare per questa laurea honoris causa. “Sarà anche banale, ma mi piacerebbe dedicare questa a questa laurea honoris causa a mio padre, il quale ci rimase malissimo quando io, 44 anni fa, decisi di lasciare l’università e cominciare a lavorare. Adesso lui non c’è più da molti anni e sarei contento se qualcuno glielo facesse sapere. Mettiamola così. Ne sarebbe molto, molto felice”.