Per attribuire l’indennizzo a Bruno Contrada va valutata, e motivata, l’eventuale sussistenza di dolo o colpa. Lo scrive quarta sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui il 21 gennaio ha annullato con rinvio l’ordinanza della Corte d’Appello di Palermo che, nel 2019, aveva riconosciuto a Bruno Contrada, ex numero due del Sisde, la riparazione per ingiusta detenzione di 667 mila euro. La Corte ha accolto i ricorsi della procura generale di Palermo e dell’Avvocatura dello Stato, per conto del ministero dell’Economia.
Dopo la revoca della condanna, agì in giudizio chiedendo la riparazione dell’errore giudiziario subito. L’istanza nasce dalla decisione della Corte di Cassazione del 2017. Con l’istanza era stata richiesta un’equa riparazione per oltre 3 milioni di euro, tenuto conto dell’indennizzo dovuto per la detenzione subita e del danno biologico, morale ed esistenziale subito da Contrada e dai suoi familiari più stretti per effetto di una vicenda processuale durata venticinque anni. La Corte d’Appello ha deciso per 667 mila euro.
Secondo la Cassazione, l’ordinanza della Corte d’appello di Palermo ha svolto un ragionamento “insoddisfacente e contraddittorio”. In particolare i giudici rilevano che la Corte “non ha tenuto conto che l’intera motivazione della decisione della Corte Edu non influisce sulle fonti di prova” che hanno portato all’iniziale condanna, e “ha omesso ogni valutazione circa la sussistenza del dolo o colpa grave, quali elementi ipoteticamente ostativo al riconoscimento del diritto di riparazione”, ha “omesso di affrontare l’aspetto della eventuale colpa lieve”, e ha anche superato il tetto massimo previsto di 516mila euro.
In conclusione la Cassazione sottolinea che “ove la Corte di merito nella sua autonomia dovesse determinarsi per l’attribuzione di somme di denaro al richiedente, dovrà, naturalmente, fornire corretta e congrua motivazione della decisione, senza eludere le questioni che sono state poste” dalle parti rispetto “alla eventuale presenza sia di ipotetiche ‘duplicazioni'” rispetto alle richieste, “sia di voci non liquidabili”. L’indennizzo in favore di Contrada era stato disposto alla luce della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che aveva condannato lo Stato italiano per violazione della Cedu e riconosciuto come non eseguibile la sua condanna a 10 anni perché all’epoca il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non era sufficientemente definito, visto che la fattispecie è stata chiarita solo dopo la sentenza delle sezioni unite del 1994.