“Ah, se parlasse Di Pisa…”. Così il capo dei capi Totò Riina avrebbe risposto a Giovanni Brusca a proposito della presenza di Totuccio Contorno in Sicilia, nel 1989. Il pentito Brusca (soprannominato “u verru”, il porco) ieri ha deposto da una località segreta al processo per l’omicidio del poliziotto Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio, uccisi il 5 agosto 1989.
Imputati dinanzi alla Corte d’assise di Palermo ci sono il boss Gaetano Scotto, accusato di duplice omicidio aggravato in concorso (uomo dei misteri, considerato dagli inquirenti il trait d’union tra mafia e 007 deviati) e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento. Col rito abbreviato è stato invece condannato all’ergastolo, per duplice omicidio aggravato, il boss Nino Madonia.
Il racconto di Brusca
E’ stato l’avvocato di parte civile, Fabio Repici, a incalzare Brusca chiedendogli se avesse mai parlato con Riina della presenza di Contorno in Sicilia. Il collaboratore ha risposto: “Ma chiacchiere… si diceva che era stato mandato da Falcone e Di Gennaro per uccidere alcuni soggetti…”.
Da Repici, poi, la domanda diretta: “Ha mai parlato con Riina di un magistrato che si chiama Di Pisa?” E Giovanni Brusca: “Riina mi disse: ah se parlasse Di Pisa… Secondo Riina sarebbero scoppiate diverse problematiche all’interno della procura di Palermo. Che è quello che stava succedendo esattamente in quel momento. Vuol dire che Riina aveva informazioni, notizie da persone a lui fidate provenienti dalla procura di Palermo”.
Il periodo del Corvo
È il periodo – quello a cui ha fatto riferimento Repici – relativo al (presunto) “Corvo di Palermo” e a una lunga stagione dei veleni all’interno del palazzo di giustizia di Palermo che vedevano Falcone e Borsellino al centro di polemiche delle più svariate. In quelle polemiche entrò anche uno dei magistrati di Palermo, Alberto Di Pisa, accusato di essere appunto il “Corvo”.
Nel 1993 Di Pisa, che ha lasciato la magistratura per raggiunti limiti di età nel 2015, è stato assolto definitivamente nel dicembre 1993 “per non aver commesso il fatto”.
“Riina incavolato nero, apprese l’omicidio dalla tv”
“Totò Riina era incavolato nero. Non tanto per l’omicidio in sé di Nino Agostino, ma perché lo aveva appreso dalla Tv. Era convinto che fosse stato Nino Madonia, che aveva organizzato l’omicidio senza avvertirlo e senza dirlo neanche al capo famiglia del territorio”. Lo ha detto l’ex boss di San Giuseppe Jato, Giovanni Brusca, oggi collaboratore di giustizia, deponendo come testimone al processo per l’omicidio dell’agente di polizia Nino Agostino, che era anche un cacciatore di latitanti per conto del Sisde.
Totò Riina, il capo dei capi morto nel 2017, “amava e odiava Nino Madonia che agiva senza avvertire. Mi chiese – ha proseguito Brusca – se anche io avevo partecipato all’omicidio Agostino. Lo avevo escluso, ma era convinto che gli esecutori materiali fossimo stati io e Salvuccio Madonia, visti i miei rapporti con Nino Madonia che, secondo Riina, aveva contatti riservati e operava di testa sua. Ho capito che era indisposto, anzi direi incavolato nero perché non sapeva nulla di questo omicidio”.
Nella prossima udienza, in programma il prossimo 5 novembre, verranno ascoltati diversi testi a riscontro della testimonianza resa ieri da Brusca.
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