Corleone s’è svegliata con la notizia della morte di Totò Riina, il padrino di Cosa nostra. Nel bar della piazza gli avventori non parlano d’altro, ma nessuno ci vuol mettere la faccia.
“Spero che con lui muoia anche la mafia”, dice una donna. La piazza centrale è ancora semivuota. Tra un caffè e un cornetto, la gente mormora. “Era ora”, dice un giovane. I più anziani sfuggono al cronista: “Ora arrivano le televisioni”.
Un uomo che porta al guinzaglio un cane afferma: “Che devo dire, mi dispiace per la famiglia”. Un passante sbotta: “Ancora una volta si parlerà di Corleone nei giornali e in Tv per la mafia, basta…”.
“Forse finalmente ci toglieremo di mezzo quell’appellativo di “capitale” della mafia che ci ha segnato per colpa di Riina e dei suoi amici, ma sarà dura: è una eredità pesante”, aggiunge un ragazzo in giacca e cravatta con un tablet sotto braccio”.
A Corleone vivono poco più di 11 mila abitanti, il comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose nell’agosto di un anno fa. Attualmente è sotto gestione commissariale. L’amministrazione, sciolta nell’agosto 2016, era guidata dal sindaco Lea Savona, eletta con una lista civica di centrodestra, che aveva più volte espresso pubblicamente la sua condanna nei confronti di Cosa Nostra. L’ultima volta era avvenuto in occasione della morte di Bernardo Provenzano. “Gli onesti di Corleone si tolgono dalle spalle un pezzo di storia criminale”. Una sorta di appello da parte del sindaco a chiudere con un passato ingombrante rivolto ai suoi concittadini, gli abitanti di un paese diventato tristemente famoso nel mondo per aver dato i natali a boss di prima grandezza: dal medico Michele Navarra, a Luciano Leggio, Bernardo Provenzano e allo stesso Toto’ Riina.
Lo scioglimento del comune, proposto dall’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano, ruotava attorno all’assegnazione di alcuni appalti come quello relativo alla costruzione di un impianto polivalente nei pressi del campo sportivo. La gara finì all’attenzione della Procura di Palermo che arrestò un dipendente comunale, Antonio Di Marco, indicato dagli inquirenti come il nuovo capo mandamento. Di Marco, custode del campo sportivo, dove si sarebbero svolti anche summit di mafia, in alcune intercettazioni avrebbe fatto riferimento alla possibilità di fare pressioni presso gli uffici comunali per pilotare i lavori. “Nessuno immaginava – osservò allora il sindaco – che questo dipendente comunale potesse essere colluso. Avrò peccato di leggerezza, inesperienza, di qualche sbavatura, ma non posso essere considerata vicina ad ambienti mafiosi”.
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