L’Inps a giugno le aveva revocato il reddito di cittadinanza perché era risultata senza la residenza anagrafica da febbraio a luglio del 2020. Ma il giudice del tribunale del Lavoro, Dante Marino, ha accolto il ricorso d’urgenza. Alla donna, difesa dagli avvocati Pier Luigi Licari e Francesca Badalamenti, è stato restituito il sussidio. Nell’ordinanza il giudice ha scritto: “La mancata percezione del reddito di cittadinanza” può “pregiudicare il diritto ad un’esistenza autonoma e dignitosa”. La donna ha dimostrato che effettivamente aveva avuto delle difficoltà economiche importanti.
La donna in effetti era risultata irreperibile da febbraio a luglio 2020, visto che conviveva con un compagno. Ma il Comune non poteva certificarlo, visto che l’uomo non pagava da un anno l’affitto della casa popolare allo Zen. Il giudice ha accolto la tesi difensiva secondo cui la residenza anagrafica ha valore meramente presuntivo dovendo prevalere, comunque, quello della residenza concreta ed effettiva. Che la donna abbia vissuto sempre a Palermo negli ultimi 10 anni lo hanno confermato l’ex convivente e un vicino di casa. Quest’ultimo li ha visti trascorrere insieme anche il periodo del lockdown per il Covid.
Le ragioni d’urgenza del ricorso erano giustificate dal fatto che il reddito di cittadinanza è l’unica fonte di reddito della donna che vive con la figlia. La percettrice, dopo lo stop all’erogazione del reddito di cittadinanza, in questi mesi si era ritrovata senza alcuna entrata e aveva accumulato morosità nel pagamento di affitto e bollette. “Abbiamo ritenuto che il ricorso d’urgenza – spiegano i legali Licari e Badalamenti – fosse lo strumento più adatto alla tutela degli interessi della nostra assistita. Sussistendo, a nostro avviso, entrambi i requisiti richiesti dalla legge. Ossia il danno che la stessa avrebbe irreparabilmente patito, insieme alla sua famiglia, nell’attesa di una sentenza di merito. Ma anche la probabile fondatezza del diritto richiesto”.