Una dottoressa durante un laboratorio riservato agli studenti del terzo anno della facoltà di Psicologia di Palermo avrebbe definito “confusi” i propri pazienti adolescenti queer, e li avrebbe accusati di scegliere il proprio orientamento sessuale in base ad una presunta moda, nonché come strumento per attirare l’attenzione delle famiglie.
A denunciare l’accaduto il movimento il Movimento Non una di Meno di Palermo che attraverso una nota parla di “ennesima violenza di genere e queerfobica, avvenuta proprio all’interno delle mura universitarie”.
La nota
Si legge nella nota: “Lunedì 8 maggio 2023, durante un ciclo laboratoriale obbligatorio per gli studenti del terzo anno di psicologia, l’esperta psicologa chiamata a intervenire durante l’incontro ha avanzato dei commenti e delle considerazioni puramente personali, nonché fuori luogo e violente nei confronti delle configurazioni familiari non tradizionali e delle soggettività LGBTQIA+. Durante il corso della conferenza, la dottoressa ha definito ‘confusi’ i propri pazienti adolescenti queer, accusandoli di scegliere il proprio orientamento sessuale in base ad una presunta moda, nonché come strumento per attirare l’attenzione delle famiglie. Questa è violenza”.
“Non un caso isolato”
“Se da una parte, attraverso le lotte di chi ci ha preceduto e le lotte che ancora oggi portiamo avanti, risulta meno complesso – rispetto a 20, 30, 40 anni fa – potersi dichiarare pubblicamente non cisgender e/o non eterosessuale, d’altra parte non è sicuramente meno pericoloso. Sappiamo bene che le soggettività queer, così come molte altre minoranze, vengono sistematicamente minacciate, emarginate, picchiate, uccise a causa della loro identità non conforme a quelle che sono le norme imposte dal sistema. Il caso della professoressa Cloe Bianco non è un caso isolato e nemmeno un incidente, bensì una conseguenza prevedibile”.
Ed ancora “A nessuno spetta il diritto di mettere in discussione le nostre identità queer non conformi, se non unicamente a noi stesse. Sosteniamo e difendiamo l’autodeterminazione dei corpi e delle esistenze. Autodeterminazione che avviene anche attraverso la libera esplorazione delle mille possibilità e sfaccettature che i nostri generi e orientamenti ci offrono”.
Secondo quanto riferisce la nota del Movimento Non una di meno “La dottoressa ha inoltre lamentato una sempre più crescente mancanza di pudore, da parte della giovane, nel definirsi LGBT+. Anche questa è violenza, in quanto veicola in maniera tanto implicita quanto subdola, che ci si dovrebbe vergognare nel definirsi queer. E in molti, moltissimi casi, il peso delle parole che ci vengono dirette rendono le nostre esistenze insostenibili: lo sa bene Sasha, adolescente transgender che a Catania si è tolto la vita a maggio del 2022 a causa delle continue vessazioni e discriminazioni subite, anche in ambito scolastico”.
Altre accuse
“In aggiunta, la docente ricondotto questa presunta ‘incapacità di acquisire l’identità sessuale’ (dove l’unica identità sessuale valida, sarebbe, a quanto sostenuto dalla docente stessa, quella eterosessuale) a quelli che sarebbero ‘i nuovi problemi della famiglia’. Questo, non solo è inaccurato, ma anche pericoloso. Quelli che la prof.sa ha descritto come problemi contemporanei – facendo riferimento anche alle famiglie eterosessuali, dove la madre da spazio alla propria realizzazione personale, smettendo di annullarsi e dedicarsi interamente alla famiglia, ed il padre è meno padrone – in realtà andrebbero descritte semplicemente come delle configurazioni familiari altre e posizionate all’interno di una ben precisa cornice storica e culturale. Trattarli come dei problemi giustifica delle politiche di “ritorno al passato”, che il governo Meloni ha già messo in atto”.
“Atto gravissimo”
E concludono: “Riteniamo gravissimo che una docente possa aver esserti sentita libera di esprimersi attraverso un linguaggio che nulla ha a che fare con il contesto in cui si trova: un linguaggio non solo violento e inaccurato, ma che ha veicolato un’ideologia ben precisa, che cela la volontà di ri-trascinarci tutti ai margini di un sistema eteronormato, patriarcale e binario, utilizzando le pratiche coercitive psichiatriche da sempre nemiche delle soggettività dissidenti. E tutto ciò diventa ancora più grave se contestualizzato all’ambito specifico di studi: che all’interno di un corso di psicologia, una professionista possa commentare e mettere in discussione l’identità dei suoi pazienti adolescenti – che privatamente si sono affidati a lei e che da lei sono stati pubblicamente traditi -, ci rende attoniti. Non siamo più disposti a chiudere un occhio di fronte a questi fenomeni. Non possiamo definire quello che è successo come un banale ‘un errore umano’, perché non lo è affatto. Le parole che sono state pronunciate si inseriscono all’interno di un sistema ben preciso che storicamente opprime chi non rientra all’interno della norma instaurata. Non siamo più disposti ad ascoltare le motivazioni di chi ci violenta, patologizza, psichiatrizza, uccide”.
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