Regge in Cassazione l’impianto accusatorio del processo Argo che vedeva imputati boss e gregari del clan mafioso di Bagheria. Tranne che per Michele Cirrincione, condannato in appello a 8 anni, per cui c’è stato un annullamento con rinvio, ci sono stati solo alcuni annullamenti relativi a circostanze aggravanti che imporranno alcune rideterminazioni delle pene, ma nessuna assoluzione.
Il processo nasce da un blitz dei carabinieri del 2013 che disarticolò lo storico mandamento di Cosa nostra da sempre vicino al capomafia Bernardo Provenzano.
Per i pm a capo della cosca c’era Gino Di Salvo, arrivato ai vertici dopo una precedente condanna per mafia. Un grosso
contributo all’inchiesta venne da un ex uomo d’onore, Sergio Flamia, passato tra i ranghi dei pentiti.
Gli imputati erano accusati, a vario titolo, di mafia, estorsione e intestazioni fittizie di beni. Dall’indagine venne fuori il ritratto di una mafia affezionata alle sue “regole” – dalla punciuta durante il rito di affiliazione alla presentazione dei nuovi picciotti agli anziani – e attenta ai business come il traffico di droga e gli investimenti nelle imprese edili, nei supermercati e nelle agenzie di scommesse.
Confermate le condanne inflitte a Umberto Guagliardo (due anni e 5 mesi), Salvatore Fontana (tre anni e 3 mesi), Pietro
Tirenna (4 anni e cinque mesi), Sergio Flamia (4 anni e otto mesi), Roberto Aruta (2 anni), Lorenzo Carbone (2 anni e 10
mesi), Raffaele Catanzaro (un anno e 4 mesi), Rosario Ortello (un anno), Nicola Pecoraro (un anno), Antonino Zarcone (2 anni e 6 mesi) divenuto collaboratore di giustizia.
La pena dovrà essere rideterminata in appello per Raffaele Purpi, Vincenzo Gennaro, Silvestro Girgenti, Francesco Centineo, Pietro Liga, Vincenzo Graniti, Driss Modzhadir, Salvatore Giuseppe Bruno, Giacinto Di Salvo, Francesco Lombardo e Rosario La Mantia.