Addiopizzo: per la prima volta denunciano imprenditori e operai

Processo al clan Porta Nuova, 24 condanne e 4 assoluzioni

Il gup Cristina Lo Bue ha inflitto 24 condanne e 4 assoluzioni nel processo in abbreviato scaturito dall’operazione Vento contro il clan Porta Nuova di Palermo. Sono stati condannati a 20 anni di reclusione il boss Tommaso Lo Presti, a 18 anni e 4 mesi Salvatore Incontrera, figlio del boss ucciso alla Zisa il 30 giugno del 2022, a 20 anni Giuseppe Giunta e a 16 anni Calogero Lo Presti, 20 anni anche a Nicolò Di Michele, Roberto Verdone, e Filippo Burgio e Andrea Damiano.

I condannati

Condannati anche Maria Carmelina Massa, la moglie di Incontrera, a 12 anni e 8 mesi, Leonardo Marino a 17 anni e 9 mesi, 13 anni sono stati inflitti a Giuseppe D’Angelo, 17 anni 11 mesi e 10 giorni ad Antonino Stassi, 18 anni e mezzo a Antonino Ventimiglia, 14 anni a Domenico Lo Iacono, 10 anni e 8 mesi a Salvatore Di Giovanni, 12 anni e 10 mesi a Gioacchino Pispicia, 12 anni a Massimiliano D’Albo, 12 anni e 8 mesi a Antonino Fardella, 17 anni 9 mesi e 10 giorni a Gaetano Verdone, 7 anni e 4 mesi ad Antonino Bologna, 4 anni e 4 mesi ad Antonino Talluto, 7 anni e 10 mesi a Vito Lo Giudice, 4 anni e 8 mesi a Francesco Cerniglia e 3 anni e 8 mesi a Francesco Domina.

Gli assolti

Il giudice ha assolto altri 4 imputati Giorgio Stassi, Francesco Verdone, Marco Verdone e Gioacchino Fardella, difeso dall’avvocato Silvana Tortorici. Si sono costituiti parte civile, tra gli altri, il Comune di Palermo (rappresentato dall’avvocato Ettore Barcellona), il Centro Pio La Torre (difeso dall’avvocato Francesco Cutraro), Fai, Sos Impresa, lo Sportello di solidarietà (assistiti dagli avvocati Maria Luisa Martorana, Valerio D’Antoni e Ugo Forello). Parte civile anche Addiopizzo (rappresentato da Salvatore Caradonna e Maurizio Gemelli) e per la prima volta non solo alcuni imprenditori ai quali sarebbe stato chiesto il pizzo, ma anche gli operai loro dipendenti.

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Il commento delle parti civili

“Si è concluso oggi in primo grado il processo al clan mafioso di Porta Nuova di Palermo, in cui la maggior parte degli imputati sono stati condannati a vario titolo per i reati di associazione mafiosa, traffico di stupefacente ed estorsione. Il processo nell’ambito della quale l’autore delle estorsione è stato condannato mentre il presunto mandante assolto, costituisce un fatto senza precedenti dato che per la prima volta in giudizio oltre al titolare dell’impresa edile anche i suoi lavoratori, destinatari di intimidazioni prontamente denunciate, si sono costituiti parte civile” si legge in una nota dell’associazione Addiopizzo che attraverso un percorso di ascolto ha sostenuto imprenditori e operai a non piegarsi alle richieste estorsive.

“L’imprenditore e gli operai hanno infatti raccontato, ricostruendo i fatti con dovizia di particolari, l’asfissiante strategia estorsiva subita e sfociata anche nelle ripetute minacce di interrompere i lavori di ristrutturazione di un immobile situato nel mandamento mafioso di Porta Nuova – aggiungono dall’associazione – Una storia che seppure abbia un lieto fine racconta in controluce la persistenza del fenomeno estorsivo nel settore dell’edilizia. Ci sono infatti aree della città e della provincia di Palermo dove imprenditori e operai hanno serie difficoltà a lavorare dato che altre imprese edili in cambio delle estorsioni pagate si accaparrano forniture e lavori con la protezione di Cosa nostra. Tale fenomeno non può essere ignorato visto che oltre a colpire chi vuole fare impresa sana e lavorare onestamente, altera e sterilizza le regole del libero mercato e della concorrenza anche a danno dei cittadini-consumatori”.

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Le denunce delle vittime del pizzo

I processi, celebrati negli ultimi due decenni grazie al lavoro di magistrati e forze dell’ordine e con l’ausilio di associazioni realmente operative, raccontano che a Palermo sono maturate centinaia di denunce di operatori economici che si sono opposti a Cosa nostra e che dopo tale scelta sono riusciti a proseguire la loro attività economica in condizioni di normalità.

Tuttavia c’è ancora chi paga le estorsioni e non denuncia perché ricerca, più che subisce, la “messa a posto” in un contesto che non è di intimidazione e di paura ma di connivenza e convenienza. Per queste ragioni va aggiornata l’analisi e la narrazione sul fenomeno estorsivo e soprattutto sulla circostanza che chi paga e non denuncia non è sempre una vittima.

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