Dai taglieggiamenti alle imprese all’imposizione di non pagare un corso di formazione per migliaia di euro. Ma anche la pretesa del dimezzamento del costo di un pranzo. La cosca mafiosa di Resuttana imponeva il racket e lo faceva su diversi livelli. Quindi non solo per le “cose grosse” ma anche per vicende un po’ meno onerose. Come per ottenere lo sconto di appena 250 euro su un pranzo di un ristorante. Questo lo spaccato che emerge dall’inchiesta sfociata qualche giorno fa in 7 arresti che hanno colpito i fedelissimi del temuto mandamento palermitano.
Il reggente della famiglia di Resuttana, Sergio Giannusa, voleva che la figlia non pagasse per un corso di formazione. Costava 3 mila euro per poter prendere un attestato come infermiera specializzata. In un’intercettazione di sente Giannusa dare l’ordine a Giuseppe D’Amore, titolare di un bar ritenuto il braccio destro del capo mandamento di Resuttana Salvatore Genova. In pratica quest’ultimo doveva andare dagli organizzatori e fargli capire non tanto velatamente che quei soldi non li avrebbero dati. D’Amore obbedì e garantì il suo intervento.
Ricostruito anche il pizzo al ristoratore dove erano andati a mangiare Giannusa e il figlio. Il conto era salato, ben 600 euro per quel che avevano consumato. Giannusa però impose personalmente lo sconto, quasi il 50 per cento. In un’intercettazione si sente lo stesso che dice di aver dato 350 euro e poi ha esternato il psosibile pensiero del ristoratore: “Aspetta che me li prendo, perché qua non prendo più niente e tumpulati pigghiu”.
Documentate anche estorsioni a diverse imprese. In particolare si guardava da vicino a chi gestiva i funerali dei deceduti all’ospedale Villa Sofia di Palermo. Poi le imprese edili. In un’altra intercettazione si sente Giannusa dire senza mezzi termini: “Ora ci miettu u fiermu. Gli dico (all’imprenditore, ndr): lo sai che se non mi porta lavori, lui qua lavori non né fa. Ci rugnu a vita difficili e poi… puoi venire tu… chi vuole venire viene”.