Si è svolta ieri, ai Cantieri Culturali alla Zisa, promossa dall’Istituto Gramsci Siciliano, la presentazione del volume “Pio La Torre. Dirigente del PCI”, a cura di Tommaso Baris e Gregorio Sorgonà.
Con questo primo incontro si è inaugurato così il ciclo di lezioni, seminari e dibattiti (da salutare con grande favore anche da parte del mondo scolastico palermitano e non solo) che ha per titolo “Uomini del PCI e storia d’Italia”. Insieme ai curatori del volume, nell’incontro di ieri, ne hanno discusso Manoela Patti, Antonino Blando, Michele Figurelli e Franco La Torre.
Prima dell’inizio, abbiamo raggiunto Tommaso Baris, professore associato presso l’Ateneo di Palermo (Corso di laurea in scienze politiche e relazioni internazionali). Nella sua qualità di docente, a contatto con una generazione che non ha vissuto direttamente la mattanza di mano mafiosa di quegli anni, gli abbiamo chiesto quale sia, appunto, la percezione dei delitti di mafia da parte delle nuove generazioni, anche avuto riguardo, ad esempio, alla figura di Pio La Torre, cui si ricollega il suo delitto in quegli anni tristemente noti nei libri di storia contemporanea.
«C’è una grande attenzione da parte delle giovani generazioni nei confronti delle vittime della mafia. Associazioni, scuole, ed anche l’università stanno facendo un grande lavoro in questo senso, operando un recupero della memoria sul tema delle vittime della mafia. Da questo punto di vista è sicuramente cresciuta la consapevolezza della gravità del fenomeno mafioso e la necessità di una rottura radicale con quegli ambienti».
Sul volume dedicato alla figura di Pio La Torre, Baris ci sottolinea come «il nostro intento è stato quello di ricostruire il percorso politico di La Torre, recuperandolo nella sua interezza, evitando quindi di ridurlo alla sua morte per mano mafiosa. La dimensione della lotta antimafiosa è per la Torre, a nostro avviso, una componente cruciale della sua scelta di militanza politica nel Pci. E’ l’idea di costruire una società radicalmente mutata nei suoi assetti sociali che lo spinge a ragionare e a scontrarsi con il sistema mafioso, da lui letto sempre come una componente del blocco di potere contro cui si trovava a lottare».
Già, perché quegli anni sono davvero intrisi di mafia, tanto quanto la necessità, per un’avveduta classe dirigente e politica (come pure di società civile) di fare lotta antimafia. Una consapevolezza comune anche al dirigente del PCI ucciso dalla criminalità mafiosa quella di agire su ogni versante «dall’impegno nelle lotte contadine alla sua attività dirigente sindacale, La Torre vede nelle forze organizzate, il partito comunista e la Cgil, i due strumenti indispensabili per costruire una azione politica volta a cambiare i rapporti di forza nella società esistente. Da questo punto di vista, La Torre combina sempre, in una democrazia costruita sui partiti di massa, la spinta dei movimenti sociali dal basso guidati dal Partito e dal Sindacato, con l’azione parlamentare nelle istituzioni, consapevole di dover tradurre in conquiste legislative concrete le mobilitazioni realizzate».
Abbiamo chiesto al prof. Baris come il volume che si appresta a presentare offra nuovi contributi nella lettura dell’azione di La Torre, anche avuto riguardo alle altre forze politiche, del resto parimenti necessarie sul fronte parlamentare della legislazione: «La Torre è, nella nostra lettura, un grande leader “riformatore”, che vede negli avanzamenti legislativi non un fine in se stesso ma una tappa di un processo più generale per trasformare, in modo democratico, la società in senso socialista. E a questa prospettiva chiama a collaborare le altre forze popolari, compresi socialisti e per certi versi la DC, partito che considera rappresentante di istanze democratiche anche se inquinato dalla presenza di infiltrazioni mafiose. Questo nello specifico siciliano significa realizzare con quelle forze una “vera” autonomia regionale, sulla via delle indicazioni di Togliatti, lottando contro le forze più retrive della società locali interessate invece al mantenimento di un modello clientelare-assistenziale non privo di ramificazioni criminali. Le quali vengono considerate da La Torre in grado di condizionare lo sviluppo positivo dei rapporti tra le stesse forze politiche isolane, in particolare dinanzi agli sforzi di rinnovamento delle giovani generazioni democristiane, che si riconoscono nella figura di Piersanti Mattarella. Da qui il giudizio positivo sull’azione di governo di quest’ultimo e le preoccupate considerazione sulla sua uccisione da parte mafiosa, letta come un tentativo di bloccare un processo di rinnovamento in atto».
Un’ultima domanda prima di congedarci. Da Deputato nazionale, La Torre torna in Sicilia per assumere la carica di segretario regionale del PCI e qui troverà la morte per mano di mafia. Cosa può dirci in proposito?
«Proprio intuendo la drammaticità di quel passaggio politico scelse di tornare in Sicilia per essere presente di persona come dirigente politico per ricostruire il rapporto tra masse e partito nel tentativo di rilanciare l’azione politica a tutti livelli, dalla lotta per la pace (vista l’installazione degli euromissili a Comiso) all’azione contro la recrudescenza del fenomeno mafioso».
Dunque, La Torre si consegna autentico testimone antimafia per le nuove generazioni di oggi e a tutti noi, interprete istituzionale di un cambiamento possibile. Nelle parole del Presidente della Repubblica Mattarella, in occasione della 37ma ricorrenza dell’uccisione di Pio La Torre (insieme a Rosario Di Salvo), ”un esemplare impegno civile a favore della libertà e della democrazia”.
(in foto da sinistra a destra, Manoela Patti, Nino Blando, Gregorio Sorgonà, Michele Figurelli e Franco La Torre).
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