La zona rossa a Palermo ha costretto alla chiusura molte attività. I parrucchieri, barbieri ed estetiste – costretti a fermarsi ancora una volta per il lockdown – sono scesi in piazza. In modo civile. Alcuni di loro si sono resi protagonisti, infatti, di una protesta silenziosa nel rispetto dei distanziamenti dettati dalle norme anti Covid per dire no alle chiusure. Con loro, in testa, Gino Sanfilippo, presidente della categoria acconciatori di Confartigianato Imprese Palermo.
“Dallo scorso anno i nostri saloni – dice Sanfilippo – hanno investito e non poco, per rispettare tutti i protocolli di sicurezza e per potere riaprire e proseguire l’attività nel pieno rispetto delle norme, della clientela e degli operatori stessi. Per fare tutto questo hanno sostenuto delle spese che, se non supportate da entrate, porteranno davvero alla rovina per tutto il settore. La nostra voce non può continuare a rimanere inascoltata. Abbiamo bisogno di lavorare. Non si può pensare che i contagi avvengano in seno a determinate attività produttive, che invece lavorano in condizioni massime di sicurezza”.
Dietro alla chiusura del settore benessere, c’è un intero comparto in sofferenza e tutto l’indotto che ruota attorno ai saloni. Si ferma tutto, dagli acconciatori alle estetiste, dai rappresentanti ai fornitori di prodotti legati alla cura del capello e alla persona.
Confartigianato, già il mese scorso, aveva fatto appello al governo regionale affinché in sede di conferenza Stato-Regioni potesse farsi portavoce col governo centrale e cancellare dal testo definitivo del nuovo Dpcm il provvedimento di chiusura per queste attività.
Un modo per consentire a queste categorie di lavorare anche nelle zone rosse, a tutela della salute dei cittadini e dell’economia del settore.
Nei giorni scorsi, inoltre, lo stesso ente, insieme ad altre associazioni degli artigiani, ha lanciato in tutte le regioni una petizione per riaprire acconciatori ed estetisti anche in zona rossa per combattere l’illegalità e fermare il contagio.
Le voci della protesta
Al fianco del presidente di categoria Gino Sanfilippo, questa mattina c’erano diversi acconciatori.
“Abbiamo dimostrato in quest’ultimo anno che i nostri centri sono più che sicuri, sia in termini di contingentamento delle persone gestite per appuntamento, sia per l’utilizzo dei materiali monouso, oltre che per le distanze rispettate – dice Maddalena Buzzotta, titolare di un esercizio in centro –. Noi abbiamo già subito un calo economico non indifferente anche nei mesi in cui ci è stato consentito di lavorare, perché indirettamente abbiamo registrato meno clientela per via delle chiusure dei ristoranti o degli eventi annullati o anche organizzati con numeri limitati di invitati”.
Continua lo sfogo: “Nel precedenti Dpcm eravamo considerati un bene essenziale ed era consentita l’attività anche in zona rossa. E adesso, cosa è cambiato?”.
A queste parole fanno eco quelle di Salvo Pavone, titolare di una parruccheria, che ha spiegato: “Nei nostri saloni non ci sono assembramenti, eppure veniamo penalizzati. Bisognerebbe pensare ad effettuare controlli rigidi, anche nelle attività dove è consentito restare aperti, piuttosto che mettere in ginocchio chi lavora e lo fa in sicurezza. I supermercati, ad esempio, è giusto che rimangano aperti, ma perché quando si va a fare la spesa possiamo assistere ad assembramenti di 20 e 30 persone tutte in una stessa aerea e a noi parrucchieri, che ci occupiamo di un cliente per volta con tutte le sanificazioni del caso, ci viene negata la possibilità di lavorare? Che differenza c’è tra la zona rossa dei mesi scorsi e la zona rossa di oggi?”.
Giuseppe Pezzati, presidente di Confartigianato Palermo, ha ribadito: “Abbiamo sollecitato più volte la necessità di vaccinare gli operatori del settore benessere. Riteniamo più costruttivo pensare ad una soluzione a monte per arginare il rischio dei contagi, piuttosto che mettere in ginocchio le nostre attività produttive. Acconciatori ed estetiste lavorano a stretto contatto con la clientela e riteniamo necessario offrire loro una corsia preferenziale tra le fasce della popolazione da vaccinare. Non capiamo inoltre il motivo per il quale – aggiunge Pezzati – un settore che ha applicato con la massima diligenza le linee guida dettate dalle autorità sanitarie e dal Governo, intensificando le già rigide misure previste dal settore sul piano igienico-sanitario, debba oggi restare chiuso. La nostra federazione nazionale, in questi giorni, ha firmato con il Governo e le parti sociali l’accordo per la revisione del Protocollo sulle misure di contrasto e contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro e il Protocollo nazionale per le vaccinazioni nei luoghi di lavoro. Questi strumenti devono potere consentire alle nostre attività di lavorare e produrre, piuttosto che chiudere e fallire”.
Questa mattina, alla protesta silenziosa, anche Maurizio Uzzo. “Nei precedenti Dpcm ci consentivano di restare aperti perché eravamo riconosciuti un servizio essenziale alla persona – ha sbottato – ed è una realtà. Ci sono clienti, purtroppo, che non hanno la possibilità per motivi di salute o altro, di fare a casa nemmeno uno shampoo. Ci sono motivazioni legate all’igiene per cui è bene che ci lascino aperti, ma anche legate all’aspetto psicologico. Una piega particolare, il colore appena rifatto o cambiato, un buon taglio, aiutano anche psicologicamente il cliente e a noi consentono di andare avanti”.
Filippo Calcagno, titolare di un salone, ha sottolineato “Vogliamo che qualcuno ci spieghi il perché il nostro protocollo di sicurezza che abbiamo messo in atto, anche con spese non indifferenti, in precedenza andava bene e adesso non va più bene. Se prima ci veniva consentito di lavorare in zona rossa e adesso no, vogliamo sapere cosa è cambiato. Ci stanno chiedendo sacrifici enormi. Siamo pronti a rispettare le regole e lo stiamo già facendo. Ma chiediamo chiarezza”.
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