E’ una presa di posizione politicamente trasversale quella contro le trivellazioni in mare e che sostiene il ‘sì’ al referendum del prossimo 17 aprile sull’abrogazione della norma che consente le estrazioni, ed è altrettanto traversale la mobilitazione in programma domani a Palermo sulla questione.
A Palazzo delle Aquile si ritroveranno esponenti delle istituzioni, della politica e della società civile tra cui Corradino Mineo, Senatore e Direttore di “Left”, Aurelio Angelini, comitato regionale “Vota Si, per fermare le trivelle” e Nino Caleca, avvocato ed ex assessore regionale all’Agricoltura, Leoluca Orlando, sindaco di Palermo e presidente ANCI Sicilia, Luca Casarini di Sinistra Italiana, la parlamentare del “Movimento 5 stelle”, Claudia Mannino e Salvatore Gabriele, sindaco di Pantelleria.
Il nome scelto per la manifestazione è “L’Italia non è un Paese per fossili”, dove oltre alla scelta del “Si” al referendum si rimarca la “sfida politica” che intende voltare pagina alle trivelle, quindi al petrolio, liberarci della vecchia energia fossile che è causa di inquinamento, dipendenza economica, conflitti, sfruttamento delle grandi lobby.
Secondo i promotori dell’incontro “la vera posta in gioco di questo Referendum è quella di far esprimere gli italiani sulle scelte energetiche strategiche che deve compiere il nostro Paese, in ogni settore economico e sociale per un’economia più giusta, rinnovabile e de carbonizzata”.
Intanto in una nota Greenpeace sostiene che nei mari italiani operano circa 100 piattaforme ‘del cui impatto ambientale non si ha alcuna stima, misurazione o controllo’.
Questo l’antefatto: a seguito di una istanza pubblica di accesso agli atti, lo scorso settembre Greenpeace aveva ottenuto dal Ministero dell’Ambiente i piani di monitoraggio di 34 piattaforme di proprietà ENI. L’associazione ambientalista aveva però chiesto al Ministero di poter accedere ai dati di tutte le piattaforme operanti nei mari italiani, che secondo il Ministero dello Sviluppo Economico sono 135.
Dal momento della diffusione di quei dati, Greenpeace ha ripetutamente chiesto – e con essa lo hanno fatto anche le Regioni promotrici del referendum sulle trivelle – cosa ne fosse delle oltre 100 piattaforme e strutture assimilabili di cui non aveva ricevuto alcun dato: il Ministero aveva deciso deliberatamente di limitare l’accesso agli atti, o il problema era l’assenza di monitoraggi?
A queste domande ha risposto ieri sera ENI, con una nota alle agenzie di stampa: “Relativamente alle ‘100 piattaforme mancanti’, per le quali secondo Greenpeace non sarebbero stati forniti i piani di monitoraggio, ENI spiega che quelle di propria pertinenza, non emettono scarichi a mare, né effettuano re-iniezione di acque di produzione in giacimento, pertanto non ci sono piani di monitoraggio prescritti e nessun dato da fornire”.
«Ecco svelato il mistero, finalmente: i petrolieri estraggono fonti inquinanti nei nostri mari e nessuno controlla. Alla faccia della “normativa severissima” che secondo il governo regolerebbe il settore, le attività di estrazione di gas e petrolio offshore assomigliano a un far west», dichiara Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace. «Siamo un Paese in cui vengono (giustamente) controllati gli scarichi dei motorini, ma non si controllano le piattaforme in mare. È vergognoso e preoccupante».
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