Claudio Zarcone, con il suo nuovo libro “L’ossessione dell’orologio” (EdiStorie, 2024), ci presenta un’opera che nasce come un elogio alla scrittura stessa. La narrazione si sviluppa come una storia romanzata della scrittura che esplora se stessa, utilizzando “non luoghi” e “non personaggi” per permettere alla scrittura di manipolare storie, volti, nomi e concetti a suo piacimento. Le variazioni cromatiche delle pagine non riflettono la realtà, ma sono piuttosto altari dedicati alla scrittura, celebrando il regno della falsificazione. Zarcone ci avverte: la vera storia è quella non scritta.
Nulla è ciò che appare. Ciò che cattura l’attenzione, ciò che provoca, è il risultato degli artifici della menzogna, che inizialmente si presenta come verità per poi, mentendo a se stessa, rivelarsi come menzogna. “L’ossessione dell’orologio” rappresenta l’ossessione per il tempo che scorre inesorabile, la paura dell’ineluttabile, ma anche lo smarrimento di fronte all’eterno e all’immutabile. Tutto ciò che accade entro i confini del tempo, sia esso matematico o intimo, assume una connotazione ossessiva.
Citando Jacques Derrida, Zarcone costruisce una narrazione che sembra nascondere, ma in realtà rivela, e mentre rivela, nasconde ancora, in un continuo gioco di rimandi tra immagini del reale e mistificazioni. Questo gioco a rimpiattino serve a raccontare una storia, un sentimento intriso di contraddizioni, una visione audace del mondo. La trama non segue un percorso lineare, ma si sviluppa come una matrioska, contenendo al suo interno molteplici esperienze.
Nelle pieghe delle pagine si cela un attacco alle scuole di scrittura, trasformando parte della narrazione in un pamphlet irriverente contro il mercato che le alimenta. Con la stessa struttura a matrioska, il romanzo si apre a digressioni filosofiche, pur rimanendo ancorato alla forma romanzo, iniziando come epistolare e concludendosi come un’esperienza intima, sensuale e romantica, ma al contempo tragica. L’uso del Coro della tragedia greca come messaggero degli eventi sottolinea la tragicità dell’intera opera.
“L’ossessione dell’orologio” rappresenta l’ossessione dell’uomo di fronte alla quotidianità e al fluire degli eventi, ma anche di fronte ai massimi sistemi e al proprio destino. La scelta di “non-luoghi” per narrare e collegare le diverse situazioni riflette l’impossibilità di esprimere la complessità delle cose in uno spazio limitato. In definitiva, l’intero testo si presenta come un sofisticato processo di seduzione, confermando l’idea dell’autore che “la storia vera è forse quella non scritta”. L’ebbrezza e l’artificio della scrittura costituiscono il vero fondamento di quest’opera.