Una sorta di “competizione” sfociata in gelosia e che avrebbe portato all’omicidio. Secondo Giuseppe Lo Jacono, cuoco e marito della titolare del ristorante Appetì di Palermo, dove lavorava Badr Boudjemai, l’algerino noto come Samir ucciso lo scorso 4 novembre in via Roma con tre colpi di pistola, sarebbero Aly Elabed Baguera, 32 anni, e lo zio Kamel Elabed di 61 anni i responsabili dell’omicidio. “All’inizio i rapporti con la famiglia Elabed erano cordiali, poi sono arrivati gli screzi. Avevano da ridire su tutto, noi cercavano di evitare ma loro erano spesso aggressivi”, avrebbe testimoniato ieri Lo Jacono nel processo davanti alla corte d’Assise presieduta da Vincenzo Terranova, secondo quanto riportato da Fabio Geraci sul Giornale di Sicilia.
Le accuse
I due tunisini sono accusati di avere ucciso il cameriere che consideravano un rivale negli affari del loro locale che si trova in via Emerico Amari proprio di fronte a quello della vittima. I due sarebbero stati infastiditi dall’intraprendenza del collega che con i suoi modi avrebbe convinto numerose persone a sedersi nei tavoli all’aperto di Appetì. Da qui sarebbero nate le liti, tanto forti da poter essere la causa dell’imboscata avvenuta di fronte alle poste centrali di via Roma.
Il processo
Si è aperto il mese scorso il processo per l’omicidio di Badr Boudjemai, il cameriere algerino di 41 anni, sposato e padre di due figli, ucciso con tre colpi di pistola in via Roma la notte del 4 novembre scorso. Sono accusati del delitto Kamel El Abed, 61 anni, e Alì El Abed Baguera. Gli imputati, assistiti dagli avvocati Salvino, Mario e Giada Caputo, avevano chiesto il rito abbreviato, ma il giudice ha ritenuto, alla luce della aggravanti contestate dalla procura, di non concedere il rito alternativo.
La madre e la vedova del cameriere, che lavorava in un locale di via Emerico Amari e che quando fu assassinato stava tornando a casa, si sono costituite parte civile assistite dall’avvocato Enrico Tignini. Secondo l’accusa, ci sarebbero le immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza. Zio e nipote, prima di essere arrestati, lavoravano in un locale vicino a quello in cui era impiegato Boudjemai e il più giovane avrebbe seguito la vittima. Gli imputati si sono sempre professati innocenti
Commenta con Facebook