Il movente dell’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà fu “passionale”. Lo ha ribadito questa mattina – davanti alla corte d’assise che processa per l’omicidio Francesco Arcuri, Antonino Siragusa, Salvatore Ingrassia, Antonino Abbate, Paolo Cocco e Francesco Castronovo – la collaboratrice di giustizia Monica Vitale.
La pista passionale è stata abbandonata dalla procura che ha scelto il movente mafioso. Secondo la pentita – che ha saputo della vicenda da Gaspare Parisi, un elemento di spicco della famiglia del Borgo Vecchio – l’avvocato Fragalà avrebbe fatto delle avances alla moglie di Maurizio Russo. Ma per lui i boss non avrebbero mosso un dito. Fu allora, secondo la ricostruzione di Monica Vitale, che sarebbe entrato in scena il cugino, Santino Russo. Un mese prima dell’agguato avrebbe incontrato il capo del mandamento palermitano di Porta Nuova, Tommaso Di Giovanni, chiedendogli di intervenire. Così sarebbe stato deciso l’omicidio di Fragalà, ferito a morte il 23 febbraio 2010 e spirato tre giorni dopo in ospedale. Monica Vitale aveva indicato come esecutore materiale del delitto Francesco Arcuri. In realtà, come ha ammesso davanti alla corte, Parisi le parlò di ‘Francesco’ senza fare il cognome. “Io capii che era Arcuri – ha spiegato – perché quando parlava di Francesco si riferiva a lui”.
Diverso il movente secondo la Procura: dietro all’aggressione ci sarebbe stata Cosa nostra. Il raid doveva essere finalizzato a dare un segnale a tutti gli avvocati palermitani. Cosa nostra avrebbe punito, con un’azione eclatante che doveva essere monito per tutti i legali, i tentativi di Fragalà di indurre alcuni suoi assistiti a collaborare alle indagini.
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