Un bimbo nato prematuro, a 30 settimane, con un grosso tumore emangioendotelioma che arriva al
diaframma causando problemi respiratori, operato come extrema ratio ma con possibilità quasi nulle di farcela, muore nell’ospedale dei bambini di Palermo e il padre, un giovane del
popolare e periferico quartiere Zen, mentre discute coi medici comincia a picchiarli, ferendone quattro tra cui il primario di Chirurgia pediatrica Gloria Pelizzo.
Un nuovo caso di violenza ai sanitari scuote Palermo dove questi casi sono ormai periodici.
Il manager dell’ospedale Civico Giovanni Migliore e il dirigente del reparto di Terapia intensiva dell’ospedale pediatrico Di Cristina, Giuseppe Re hanno presentato due esposti contro il genitore violento che ha causato a un medico un trauma cranico e una prognosi di 30 giorni.
I genitori del bambino hanno anche loro fatto una denuncia.
Giovanni Migliore sottolinea che “l’escalation di aggressioni ai medici e agli operatori degli ospedali non è più una questione di singoli e sporadici casi, ma sta assumendo sempre
più i contorni di un fenomeno che non è più tollerabile”.
Il direttore generale annuncia che l’Arnas Civico-Di Cristina “si costituirà parte civile per chiedere giustizia e tolleranza zero nei confronti di chi risponde con la violenza ingiustificata al quotidiano impegno di competenza e sacrificio dei nostri professionisti in difesa dei bambini”.
Il deputato del M5s Giorgio Trizzino, direttore dell’ospedale Di Cristina in aspettativa precisa che “nella nostra società sembra farsi strada il ‘divieto di morire’.
Non dobbiamo consentire speculazioni di alcun tipo nei confronti della classe medica e contrastare in ogni modo quel fenomeno indecoroso di avvocati che ho personalmente trovato nelle corsie di degenza a proporre ai pazienti ed ai loro familiari azioni legali prive di ogni
fondamento giuridico”.
Paolo Petralia, direttore generale dell’Istituto Gaslini di Genova e presidente nazionale associazione ospedali pediatrici italiani, spiega che “il dolore, comprensibile, per la perdita
di un figlio non giustifica alcuna reazione violenta. Di fatto, però, medici e operatori – a cui va la mia più profonda solidarietà e vicinanza – sono diventati ormai il parafulmine di dolore, disperazione ma anche di episodi di violenza gratuita che non intendiamo più far passare sotto traccia”.