Una rubrica dedicata ai beni culturali in Sicilia, Regione che ne ha competenza esclusiva dal 1975, anno in cui le fu trasferita dallo Stato, trova una sua particolare ragion d’essere nell’attuale momento storico, in cui due Regioni a statuto ordinario, Veneto e Lombardia, richiedono competenze specifiche in materia, nel più ampio quadro di rivendicazione autonomistica soddisfatta dall’esito favorevole del referendum del 22 ottobre scorso. Autonomia altrove reclamata come formidabile strumento di sviluppo, di cui invece per la Sicilia fino ad oggi i più svariati osservatori hanno chiesto l’abrogazione, additandola come causa di ritardi e criticità di ogni sorta, che ne hanno sancito il regresso nel panorama nazionale. Un paradosso logico e una beffa storica, ancor più incomprensibile ove si conoscano le ragioni che rendono un ragionamento di questo tipo né più e né meno un ingiurioso e autodistruttivo anacronismo.
Il titolo della rubrica si riferisce all’articolo dello Statuto della Regione Siciliana (L’Assemblea […] ha la legislazione esclusiva su […] turismo, vigilanza alberghiera e tutela del paesaggio; conservazione delle antichità e delle opere artistiche) che, fatto pressoché ignorato, nel 1946, due anni prima della Costituzione repubblicana, attribuì alle competenze della Regione la «tutela del paesaggio» (dove, peraltro, compare questo termine mentre ancora le precedenti norme in materia di tutela, Legge Croce, n. 78/1922, e Legge Bottai, n. 1497/1939, parlano ancora di «bellezze naturali»), unitamente alla «conservazione delle antichità e delle opere artistiche», identificabili queste ultime con quei «beni culturali» definiti giuridicamente mezzo secolo dopo dal Testo Unico (490/1999) e dal Codice dei beni culturali (42/2004). Fatto di assoluto rilievo e senza precedenti, in quanto si tratta di una legge di rango costituzionale tuttora in vigore, e non come le due costituzioni indicate da Salvatore Settis (che non menziona il precedente siciliano) come antesignane della nostra Costituzione in riferimento all’art. 9: quella della Repubblica di Weimar, del 1919 e quella della Repubblica Spagnola, del 1931. Di più, come sarà nella Carta Costituzionale (art. 9: «La Repubblica […] Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione») nello Statuto la tutela del paesaggio precede la conservazione dei beni, con ciò affermando la priorità imprescindibile della conservazione del contesto.
Con la premessa del particolare momento storico di cui si è detto e in considerazione dei programmi generici in materia di beni culturali e ambiente offerti dagli schieramenti in corsa in questa campagna elettorale, vorremmo dunque avviare questa rubrica fornendo al prossimo presidente della Regione qualche spunto per un programma politico per il patrimonio culturale, con un profilo che nettamente lo individui come collegato alla «specialità» siciliana e che metta in valore e attui le premesse pionieristiche e progressiste del «modello siciliano». Con ciò facendo riferimento sia a quello che riconosciamo come modello «storico», delle soprintendenze uniche, introdotte in Sicilia dalle leggi fondamentali nel settore del 1977 e 1980, sia a quello che distinguiamo come modello «nuovo» degli istituti autonomi secondo la legge 20/2000 per i parchi archeologici e la legge 9/2002 che ha istituito a Palermo il Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea. Un modello autonomistico che, diversamente dalla recente riforma Mibact, mantiene ancora insieme tutela e valorizzazione, secondo, cioè, un binomio inscindibile in cui dovrebbe attuarsi ogni intervento nella sfera delicata e articolata delle azioni per il patrimonio. Un «modello» che nella Regione che lo ha partorito quarant’anni fa e innovato in modo significativo diciassette anni fa, è stato travisato e indebolito (soprintendenze) e disatteso (parchi) dalla recente riorganizzazione dei beni culturali targata Crocetta. Il progetto di Alberto Bombace, che vide la luce quarant’anni fa, di costruire un sistema dei Beni culturali parallelo, più aderente alle specificità della Regione Siciliana e persino migliore di quello dello Stato, è stato tradito.
Una proposta, altresì, all’insegna di quell’ «uso sociale dei beni culturali ed ambientali nel territorio della Regione Siciliana», che la lontana legge 80/1977 individuava tra le sue finalità, insieme alla tutela e alla valorizzazione, con ciò rimarcando che il valore culturale, e quindi sociale, del bene è sovraordinato a qualsiasi altro valore, anche a quello economico. Con questa fondamentale premessa siamo altresì convinti che il binomio politica culturale – politica economica sia non solo possibile, ma auspicabile, in quanto «ogni politica culturale comporta una politica economica» (Carlo Tosco, 2014) e che servano interventi che mettano anche in moto l’economia che ruota intorno al settore e non solo di mero riassetto burocratico-amministrativo.
Undici punti su «cosa» e «come» fare.
1) «Restaurare» le Soprintendenze. Reintroducendo il ruolo tecnico, contro il disprezzo di competenze e specialismi; ripristinando le singole unità operative, contro incongrue aggregazioni che indeboliscono o persino contraddicono la mission di ciascun istituto; attribuendo autonomia finanziaria.
2) Aprire «la riserva indiana». Concorsi per implementare le risorse umane in un sistema che rischia la paralisi per i massici prossimi pensionamenti, senza che sia previsto un turn over; «mecenatismo e sponsorizzazioni per il capitale umano», che investano cioè non sui beni, ma su risorse umane qualificate; razionalizzare gli organici e rinnovare i ranghi, con l’ingresso di nuovi profili professionali, come quella del chief digital officier per i «Grandi musei», status quest’ultimo da riconoscere alle maggiori e più antiche realtà museali regionali.
3) Un Sistema museale regionale. «Grandi musei», poli museali e parchi archeologici, tutti dotati di autonomia gestionale e finanziaria. Prevedendo un principio di «sussidiarietà» a favore degli istituti più «deboli», secondo un meccanismo di premialità per i più virtuosi, e demandando a una seconda fase, in una prospettiva di cooperazione/collaborazione interistituzionale, un progetto di integrazione tra musei regionali e quelli degli Enti territoriali, sia pubblici che privati.
4) Uno «Scudo per il patrimonio». Investendo sulla conservazione programmata, che, come in medicina, allontana la necessità di interventi costosi e mai neutri per il bene, e proteggendo il patrimonio dai rischi, anche di matrice terroristica, attraverso la ripresa del progetto della Carta del Rischio del Patrimonio, strumento dall’alto valore strategico perché in grado di contribuire alla corretta gestione del patrimonio culturale in caso di emergenza, determinata da calamità naturali o dall’azione dell’uomo.
5) Beni culturali, una «politica estera». Per assegnare alla Regione Siciliana un ruolo di interlocutore alla pari con gli istituti internazionali in materia di prestiti di opere e di organizzazione di eventi dall’alto profilo culturale e scientifico. Revisione dell’accordo difettoso col Metropolitan Museum of Art di New York per gli Argenti di Morgantina.
6) Per una diversa e più efficace strategia d’impiego dei Fondi europei. Riprogrammare le destinazioni d’impiego e favorire l’accelerazione nella programmazione superando rallentamenti di ordine tecnico-amministrativo e politico; sottrarre alle rotazioni dei dirigenti regionali, con cadenza biennale, i rup, responsabili unici del procedimento; riorganizzazione dipartimentale funzionale alla creazione e attuazione di progettualità interdipartimentali condivise; ideare concept progettuali adeguati.
7) Un privato per alleato. Concessione dei siti alle associazioni no profit, privilegiando le start-up up di giovani, e alle fondazioni pubblico-private, favorendone in Sicilia la costituzione.
8) Revisione e aggiornamento normativo. Pieno utilizzo della competenza legislativa primaria grazie alla quale è stato costruito un sistema dei beni culturale parallelo a quello dello Stato, anticipandone (con significative differenze) pure il recente corso riformistico.
9) Accelerazione e completamento della pianificazione paesaggistica. Per approdare quanto prima alla redazione del Piano Territoriale Paesaggistico (PTP) della Regione Siciliana.
10) Unificare Beni culturali e Turismo. Accorpamento dei due Assessorati, perché la valorizzazione territoriale integrata del patrimonio culturale richiede un unico organismo e convergenza programmatica e operativa.
11) Beni culturali on line. Implementare e sistematizzare le tre banche dati esistenti: la conoscenza della consistenza del patrimonio è premessa di qualsiasi azione, dal suo studio alla conservazione alla valorizzazione. Digitalizzazione e comunicazione on line di tutto il processo di visita di un viaggiatore.
ECCOLI NEL DETTAGLIO
1) «Restaurare» le Soprintendenze. Con la reintroduzione del ruolo tecnico, applicando il disatteso art. 6, c. 2 della LR 10/2000, che prevede l’emanazione di un regolamento che disciplini le modalità di costituzione e tenuta del ruolo unico articolato in modo da garantire la specificità tecnica. Nelle soprintendenze, ma anche nei musei, nei parchi archeologici, nelle biblioteche servono competenze specialistiche e non figure generiche che indeboliscono o persino contraddicono la mission di ciascun istituto, come un geologo a capo di un’unità Beni Archeologici o di un architetto alla direzione di un Parco archeologico. In particolare, nelle soprintendenze si dovrebbero ripristinare le singole unità operative (uuoo), contro gli incongrui accorpamenti di alcuni ambiti settoriali, per cui i beni architettonici fanno coppia con quelli storico-artistici e quelli paesaggistici con quelli demoetnoantropologici. La necessità di contrarre la spesa non può comportare che si sacrifichino competenze e professionalità specifiche per ogni ambito. Senza dire che la riduzione dei posti dirigenziali non ha determinato effetti apprezzabili in tal senso. Un solo esempio: con l’accorpamento delle uuoo Storico-artistiche e Architettoniche sono stati risparmiati 90.000 euro. Vale a dire l’indennità annuali dei dirigenti responsabili che ammontano ciascuna a 10.000 euro per le nove province. Ciononostante, le soprintendenze continuano a essere carenti di tutto, dalla carta per le stampanti alle lampadine alla benzina per le missioni sul territorio. Quella di Messina non ha una linea di telefono fisso, tagliato per morosità. Continua, però, a stipendiare tre centralinisti, in media circa 70.000 euro per mantenere tre persone inattive e non garantire il servizio telefonico, con gravi problemi di comunicazione e, anche, di immagine. La si può intendere una misura per contrarre la spesa risparmiare 10.000 euro da una parte e buttarne dall’altra 70.000?
Non è solo una mal posta questione di spending-review, ma di travisamento storico del modello della soprintendenza siciliana: unica su base territoriale, organizzata in una équipe con competenze multidisciplinari, non può assicurare efficacemente, rispetto alle vecchie soprintendenze tematiche, lo svolgimento dei propri compiti istituzionali, se non mantenendo distinti gli ambiti settoriali e garantendo a ciascuna unità operativa lo specialista appropriato. Come previsto per i parchi archeologici, e come in questa sede si propone anche per i musei e i poli museali (cfr. punto 3), l’autonomia finanziaria (secondo percentuali da trattenere sulle diverse voci di introito e secondo un processo graduale di «sperimentazione») dovrebbe essere attribuita anche alle soprintendenze. Per esempio, a queste che le hanno ottenute dovrebbero andare delle percentuali sulle indennità risarcitorie che devono essere corrisposte da chi commette l’abuso per interventi di riqualificazione paesaggistica. Attualmente vengono versate in un capitolo regionale (n. 1987) senza che nulla ritorni alla soprintendenza. Si tratta di veri e propri «tesoretti» che reimpiegati nell’acquisto di strumentazione tecnologica moderna, ma anche di «materiali di prima necessità», come inchiostro e carta per le stampanti, linee internet veloci, consentirebbero alle soprintendenze di esprimere pareri in pochi minuti, invece che incorrere nel silenzio-assenso.
2) Aprire «la riserva indiana». Il «restauro» di cui al punto precedente richiede anche che gli istituti siano dotati di un adeguato hardware, ovvero strumentazioni, mezzi tecnologici, connessioni internet veloci, etc., e di razionalizzare e implementare il software, il «capitale umano», sia tecnico specialistico che amministrativo, per un sistema che rischia la paralisi per i massici prossimi pensionamenti senza che sia previsto un turn over. A) Per razionalizzare gli organici, oltre a ristabilire il ruolo tecnico, eliminare la norma che prevede che al pensionamento di un responsabile di servizio questo non possa essere sostituito con uno di un’unità operativa, invece di ricorrere all’interim (che per legge, comunque, è previsto per periodi ben delimitati, di tre mesi, ritenendosi correlato ad una emergenza alla quale ovviare nelle more di un’azione amministrativa ben meditata). Per la continuità di trasmissione delle competenze prevedere un «tutoraggio» da parte dei dirigenti in pensione. Ma queste competenze vanno anche aggiornate, con una formazione continua presso corsi e istituti anche extra regionali. B) per implementare le risorse umane, concorsi, per la cui sostenibilità economica è necessario ottenere una deroga al patto di stabilità, ma anche battere strade inedite come quella di un «mecenatismo per il capitale umano», che investa cioè non sui beni, ma su risorse umane qualificate (concetto assimilato nel campo della ricerca universitaria, specialmente per le discipline scientifiche), attraendo in Sicilia a capo di musei e parchi autonomi, non i direttori big alla Franceschini, ma i validissimi curatori italiani negli istituti esteri: le esperienze nei più prestigiosi musei internazionali potrebbero imprimere un nuovo passo agli istituti siciliani. Ma anche «sponsorizzazioni per il capitale umano», laddove il privato (ma potrebbe essere anche un istituzione nazionale o internazionale) si farebbe carico di finanziare ricerca e attività di valorizzazione (da sottoporre a verifica dei risultati conseguiti, con possibilità di rinnovo), ricevendone in cambio un ritorno d’immagine e/o la possibilità di stipulare contratti di concessione per eventi compatibili con la natura del bene e la sua destinazione culturale, come previsto dal Codice Urbani. Sul fronte del personale, c’è il nodo dei custodi, anch’essi in massa prossimi al pensionamento, per cui, oltre al rinnovo dei ranghi, serve prevedere il transito ai ruoli della Regione di personale che già di fatto riceve uno stipendio dalla Regione (ex province regionali, ASU etc.), la revisione dei contratti e di un mansionario ormai obsoleto. Non c’è solo il turn over. Serve rinnovare i ranghi, con l’ingresso di nuovi profili professionali, per esempio, pensando per i «Grandi musei», di cui si dirà al punto seguente, la figura del chief digital officier (cdo). Qualche anno fa il Met, di certo un museo non «invisibile», ha chiamato Sree Sreenivasan, primo cdo al mondo, un profilo che tutt’oggi poche aziende dello stesso panorama consumer hanno tra gli executive aziendali. Contro un’attitudine ancora troppo «introversa» dei musei regionali, serve acquisire quella capacità di raccontare e raccontarsi che sempre più numerosi player a livello mondiale, a prescindere dal settore di appartenenza, mettono al centro delle strategie di sviluppo. E non solo per le attività ludiche, ma anche, o forse, soprattutto, per attività meno accessibili al grande pubblico, come quelle inerenti lo studio e la ricerca.
3) Un Sistema museale regionale. Un sistema – inteso quindi come insieme organico – «Grandi musei», poli museali e parchi archeologici, tutti dotati di autonomia gestionale e finanziaria (da assegnare sempre secondo un processo graduale di «sperimentazione»), che superi l’assenza di coerenza dell’attuale organizzazione del Dipartimento BBCCIS. Generare ricavi che restano all’istituto, e che non confluiscono nel bilancio indistinto della Regione, grazie alla vendita di beni e servizi, ma anche per sponsorizzazioni, attività varie di funding, ha il pregio anche di favorire lo stabilirsi di legami relazionali e di visibilità a vantaggio della percezione stessa del museo come realtà istituzionale dinamica ed «estroversa». Quindi, istituti ai quali riconoscere uno status di «grandi musei» come quelli statali – Abatellis e Salinas a Palermo, Orsi e Bellomo a Siracusa, museo Interdisciplinare a Messina, Pepoli a Trapani – aggregazioni di istituti per ambiti geografico-territoriali (anche non coincidenti con i confini amministrativi), tenendo conto del legame identitario tra questi e i luoghi della cultura presenti nel territorio di competenza, e i parchi previsti nel Sistema regionale dei parchi archeologici, secondo un elenco da rimodulare, perché non è possibile che di parco archeologico si possa pensare per ogni sito archeologico, finendo per annullare il proposito di puntare su qualificati poli di eccellenza o ritenendo che ogni parco sia in grado di autofinanziarsi, anche solo parzialmente. A beneficio delle realtà più deboli e meno «attrattive», e ciò non di meno importanti sotto il profilo storico-culturale, si dovrebbe introdurre un principio di «sussidiarietà» (destinando una percentuale degli introiti), secondo un meccanismo di premialità per i più virtuosi. In particolare, per aree archeologiche, antiquaria e piccoli musei che hanno numeri assai esigui di presenze di visitatori occorre ripensare drasticamente le strategie: dal biglietto unico territoriale che ne stimola la visita trasformandoli di fatto in accessi gratuiti, a percorsi di visita territoriali che inseriscono il nodo debole in una lettura che attraversa più musei/aree/antiquaria, alla soluzione radicale di accesso per prenotazione telefonica/mail al fine di economizzare sui costi del personale. Gli istituti maggiori dovranno, comunque, versare una percentuale degli incassi alla Regione da reimpiegare sempre secondo un principio di «solidarietà tra istituti». Premessa è il completamento del Sistema dei parchi e l’istituzione di un Servizio centrale di coordinamento. Dare attuazione al progetto Sipa, Sistema informativo dei parchi archeologici. Ripresa del progetto strategico sugli Standard di Qualità di musei e luoghi della cultura. Si propone, invece, in un secondo momento, in una prospettiva di cooperazione/collaborazione interistituzionale, un progetto di integrazione tra musei regionali e quelli degli Enti territoriali, sia pubblici che privati, a cui correlare l’attuazione della seconda fase del progetto Standard qualità dei musei, dedicato alle strutture non regionali.
4) Uno «scudo» per il patrimonio. Sul duplice fronte della conservazione programmata e della protezione dai rischi, anche di matrice terroristica. A) Per la prima è necessaria un’azione su più fronti. Destinare maggiori risorse nel relativo capitolo di spesa e farsi promotori con il Mibact e l’Europa di un ripensamento della programmazione dei fondi comunitari, per dirottare gli attuali finanziamenti, anche ingenti, anziché sui restauri, sulle conservazioni programmate. Con queste ultime, infatti, si allontana la necessità di costosi restauri, mai neutri per i beni (come in medicina, prevenire è meglio che curare), e servirebbero pure a rilanciare le imprese del settore, con relativa ricaduta occupazionale. Previsione di protocolli d’intesa con le associazioni ambientaliste e revisione dei contratti ai concessionari (privati) dei servizi al pubblico, prevedendo che si facciano carico della pulizia dei siti (il Codice del 2004. art. 106, c. 2-bis, stabilisce che possano essere dettate prescrizioni per la migliore conservazione del bene). B) Reintroduzione della Carta del Rischio del Patrimonio, strumento dall’alto valore strategico perché in grado di contribuire alla corretta gestione del patrimonio culturale in caso di emergenza, determinata da calamità naturali o dall’azione dell’uomo, ancora più urgente oggi per la crescita esponenziale dell’indice di pericolosità di attentati al patrimonio. In particolare, progetto costola del primo, col riavvio della Carta del Rischio del Mediterraneo la Sicilia potrebbe recuperare quel ruolo da protagonista nella prevenzione che si era ritagliata dieci anni fa nell’area Euro-Mediterranea, promuovendo una tutela partecipata. Oltre a prevedere la costituzione di un Gruppo di Intervento Permanente Internazionale, antesignano degli odierni Caschi blu della cultura, ma, a differenza di questi ultimi, attivo non solo nelle fasi dell’emergenza, ma anche in quelle della prevenzione.
5) Beni culturali, una «politica estera». In continuità con l’ultimo tema trattato al punto precedente, ma sul fronte della valorizzazione invece che della tutela, avviare per la Regione Siciliana un ruolo di interlocutore alla pari con gli istituti internazionali, che faccia del territorio regionale, invece che un bancomat da cui prelevare opere e beni per le vetrine espositive estere (si è ancora in attesa dei prestiti dal museo Cleveland in base a precedenti accordi che avrebbero dovuto essere all’insegna della reciprocità), un attrattore per realizzare in sito mostre dall’alto contenuto culturale e che favoriscano un progresso nelle acquisizioni scientifiche. Revisione dell’accordo difettoso col Metropolitan Museum of Art di New York per gli Argenti di Morgantina, che, in base all’accordo del 2006 tra Governo italiano, Regione siciliana e Met, prevede, come contropartita della restituzione, per quarant’anni un prestito periodico alternato, durante i quali il tesoro dovrà essere inviato al Met per quattro anni e per altrettanti, quindi, rimpatriato.
6) Fondi europei da intercettare e sfruttare. Ridefinire le destinazioni d’impiego dei fondi comunitari e favorire l’accelerazione nella programmazione superando rallentamenti di ordine tecnico-amministrativo (carenza di personale tecnico in grado di sviluppare progetti esecutivi, cantierabili, quali ingegneri strutturisti, impiantisti, esperti di sistemi di sorveglianza ecc. ; dotare gli uffici, di connessioni internet veloci, programmi di calcolo aggiornati, etc.) e politico, contro un vertiginoso ricambio di assessori, che ha determinato continue interruzioni e riprese della pianificazione; non sottoporre alle rotazioni dei dirigenti regionali, con cadenza biennale, i rup, responsabili unici del procedimento, causa di una vera e propria diaspora che ha contribuito ai rallentamenti; riorganizzazione dipartimentale funzionale alla creazione e attuazione di progettualità interdipartimentali condivise (tra Dipartimenti BBCC, Turismo e quelli che hanno per oggetto i paesaggi e i territori); verificare che i concept progettuali siano adeguati: può essere intesa come valorizzazione il rifacimento dei tetti del Museo Pepoli di Trapani? O l’impianto di climatizzazione, pur necessario, per la Galleria Regionale di Palazzo Abatellis? Mentre nel cassetto rimangono, per esempio, progetti come il «Grande Abatellis», che possono costituire modelli virtuosi di investimento, a fronte di un impegno finanziario iniziale cospicuo. E ciò sotto due punti di vista, al di là del maggiore spazio espositivo (ivi comprendendo l’idea di creare l’allestimento dedicato a Carlo Scarpa): 1) creare aree dimensionalmente idonee ad ospitare esposizioni temporanee dai depositi, per attuare una logica di incentivo alla visita dell’esposizione permanente a costi bassi, e finanche gratuiti, cui affiancare mostre, realizzate con partnership anche private, che costituirebbero il core business; 2) dare spazi adeguati a tutto ciò che riguarda i servizi al pubblico, a partire da bar e ristoranti che, su modelli come la Tate Modern, avrebbero fasi orarie di accesso molto più ampie, divenendo luoghi di aggregazione di fatto autonomi e di forte attrattività.
7) Un privato per alleato. Concessione dei siti alle associazioni no profit, privilegiando le start-up up di giovani, e alle fondazioni pubblico-private, favorendone in Sicilia la costituzione sull’esempio di realtà nazionali di successo come il Circuito delle Residenze Sabaude o la Fondazione Musei civici di Venezia.
8) Revisione e aggiornamento normativo. Pieno utilizzo della competenza legislativa primaria grazie alla quale è stato costruito un sistema dei beni culturale parallelo a quello dello Stato, anticipandone (con significative differenze) pure il recente corso riformistico. Qualche esempio:
– attribuire o restituire agli organi collegiali tecnico-scientifici il pronunciamento in questioni specialistiche che il Governo Crocetta ha trasferito alla Giunta regionale, sia in materia di prestiti fuori dal territorio regionale (Decreto 1771/2013), sia per la valutazione della compatibilità di un’opera pubblica con le prescrizioni dei piani paesaggistici: nel primo caso il parere dovrebbe essere fornito dal Consiglio Regionale dei Beni culturali, nel secondo dalle Commissioni provinciali. A) nel primo caso, più in generale, è necessaria una sistematizzazione della disciplina per i prestiti delle opere d’arte, lasciata all’arbitrio dell’assessore di turno, emanando, come da art. 48 c. 3 del Codice Urbani, un decreto assessoriale per definire criteri, procedure e modalità del prestito. B) abrogazione degli artt. 48 e 49 della Legge della Regione Sicilia n.16 dell’11 agosto 2017, con i quali si è spostata, come si è detto, la valutazione di compatibilità di un’opera con le norme di tutela paesaggistica dalle Commissioni provinciali, convocate dalle Soprintendenze, alla Giunta;
– revisione delle decretazioni relative ai parchi archeologici che restituiscono un quadro normativo e amministrativo difforme, con parchi perlopiù ancora in via di istituzione o già istituiti, secondo iter burocratici contraddistinti da un’interpretazione singolarmente variabile della LR 20/2000, cosicché ogni decreto presenta procedure diverse l’una dall’altro: dalla carenza del parere del Consiglio Regionale BBCC al decreto di perimetrazione una volta sì e l’altra no;
– riformare il Consiglio Regionale dei Beni culturali, che fornisce parere e indicazione su tutte le più importanti questioni inerenti il patrimonio regionale, configurandolo dall’attuale organo ibrido «tecnico-politico» a un organo consultivo esclusivamente costituito da tecnici, ritenendo che sia superata la sua ragione d’essere storica, allorché col trasferimento di tutte le competenze in materia di beni culturali dallo Stato alla Regione autonoma, la legge 80/1977 prevedeva che alla costruzione di questo nuovo sistema concorressero politici e tecnici insieme.
– Aggiornamento della LR 20/2000, normativa lungimirante che ha introdotto una radicale innovazione nella concezione stessa della tutela, passando da un approccio vincolistico a uno che contempera la tutela e la valorizzazione e concependo i parchi archeologici come strumenti di tutela e al contempo di sviluppo economico sostenibile dei territori in cui ricadono, ma che a diciassette anni dalla sua introduzione necessità di una revisione del Titolo II: integrare gli organi che garantiscono la governance (mancano il collegio dei revisori dei conti e il consiglio di amministrazione); stabilire che le decisioni su questioni attinenti alla tutela non siano assunte a maggioranza, come per tutte le altre attività inerenti la valorizzazione e la ricerca, principio da estendere anche al Parco della Valle dei Templi, dove, inoltre, come previsto per gli altri parchi si dovrebbe assegnare la presidenza al soprintendente; introduzione di un principio di solidarietà nei confronti dei parchi minori.
9) Accelerazione e completamento della pianificazione paesaggistica. Per approdare quanto prima alla redazione del Piano Territoriale Paesaggistico (PTP) della Regione Siciliana. E mentre meriterebbe maggiore riconoscimento il progresso compiuto in quest’ambito dalla Regione, che ha avviato la pianificazione sin dagli anni ‘90 e si è dotata, pioneristicamente, di Linee Guida PTP regionale nel 1999, in anticipo sul Codice Urbani e sul resto del Paese, al contrario con l’involuzione normativa stabilita con gli artt. 47 e 48 della Legge della Regione Sicilia n.16 dell’11 agosto 2017 (Legge di Stabilità), di colpo non si è fatto che compiere un enorme passo all’indietro: il prossimo Governo darebbe un chiaro segnale d’inversione di tendenza rispetto all’esecutivo uscente se, in anticipo sul pronunciamento della Corte Costituzionale, dinnanzi alla quale Legambiente Sicilia ha chiesto ed ottenuto dal Governo nazionale l’impugnazione dei due articoli, abrogasse questi ultimi.
10) Unificare Beni culturali e Turismo. Accorpamento dei due Assessorati che finora hanno agito come due monadi isolate, mentre la valorizzazione territoriale integrata del patrimonio culturale richiede un unico organismo e convergenza programmatica e operativa. In generale, le politiche culturali non possono non avere una portata di sistema e andrebbero sempre raccordate in un quadro unitario di progetto e quindi intersecarsi con gli orientamenti programmatici anche di altre politiche: la pianificazione, lavori pubblici, tutela dell’ambiente e la formazione, ai fini soprattutto di migliorare l’accessibilità fisica e cognitiva ai beni e ai luoghi della cultura.
11) Beni culturali on line. Implementare e sistematizzare le tre banche dati esistenti, quelle realizzate da Cricd e Crpr , insieme a quelle prodotte nella redazione dei Piani Territoriali Paesistici e farle convergere in «Vincoli in rete», piattaforma cooperativa fra tre diverse banche dati Mibact e il Geoportale nazionale gestito dal Ministero dell’Interno. La conoscenza della consistenza del patrimonio è premessa di qualsiasi azione, dal suo studio alla conservazione alla valorizzazione. Digitalizzazione e comunicazione on line di tutto il processo di visita di un viaggiatore: dalla modalità di prenotazione e acquisto dei servizi culturali ai biglietti d’ingresso.
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