Altro che dimissioni! Non si può lasciare la Sicilia in questo momento e in queste condizioni ovvero senza un bilancio e senza le condizioni per essere amministrata. Lo sa bene il governatore Nello Musumeci che dopo la sfuriata al telefono con i suoi proseguita durante una sorta di giunta informale (quando ancora gli assessori andavano affluendo) ha ritrovato la calma e il suo proverbiale aplomb per affrontare la situazione. La discussione è andata avanti a lungo con i componenti della giunta. Alla fine il Presidente ha assunto la sua determinazione: si va avanti.
La domanda, adesso, è come. Il Governo non intende cedere ad un nuovo esercizio provvisorio. Dunque torna in aula per proseguire il percorso della finanziaria e completare la sessione di bilancio. Arriverà anche un emendamento del Governo per rimettere a posto le cose da un punto di vista tecnico. Non una sfida al Parlamento ma due o tre norme senza le quali la finanziaria non regge e rischierebbe una impugnativa.
Su questo fronte saranno i 70 deputati di sala d’Ercole ad assumersi la responsabilità del danno arrecato ai conti siciliani. Alla fine passa, invece, l’idea di alcuni assessori di trattenere 280 milioni di fondi destinati ai trasferimenti dalla Sicilia allo Stato per evitare i tagli sul 2019 e affrontare in seguito la probabile impugnativa. Su questa pezza ci sarà battaglia con Roma ma si prende tempo per giungere ad un accordo e ‘spalmare’ anche queso debito oppure trovare i soldi per coprirlo più avanti nel corso dell’anno
Ma il danno fatto resta. La Finanziaria ormai, anche con gli eventuali aggiustamenti tecnici (se dovessero passare) e con le imposte trattenute senza autorizzazione romana è, comunque, ridotta ad una mera elencazione di entrate e uscite, senza scelte politiche ne visioni presenti o future. Tutto ciò che era scelta e programmazione (o quasi) è stato cassato dall’aula e dai franchi tiratori.
Franchi tiratori la cui esistenza viene confermata involontariamente (o forse no) fra le righe di una dichiarazione del capogruppo Pd Giuseppe Lupo “Il governo Musumeci prenda atto che perfino alcuni deputati della stessa maggioranza non condividono questa legge di stabilità che, come il PD ha ribadito più volte, colpisce il mondo del lavoro, le fasce sociali più deboli, la cultura, e non contiene nessuna misura per lo sviluppo”.
“Questa manovra così com’è è un disastro – aggiunge – va riscritta in modo da liberare le risorse disponibili ed evitare tagli indiscriminati che affosserebbero la Sicilia. Il presidente Musumeci si assuma le sue responsabilità, abbia rispetto per il parlamento e venga in Aula a riferire sulla gravissima crisi della sua giunta invece di continuare a scaricare le colpe sugli altri”.
Ma in aula Musumeci manderà, invece, proprio questa finanziaria con aggiustamenti. I deputati, però, non pensino di averla ‘fatta franca’. Al contrario la guerra è solo rimandata di qualche settimana. Dopo la sessione di bilancio la giunta esiterà una norma che abolisce il voto segreto. Il principio è: ‘Chi vuole mettere in ginocchio la Sicilia lo faccia mettendoci la faccia in modo che i siciliani sappiano chi ha votato e come’.
Un principio corretto anche se il voto segreto nasce dall’esigenza di garantire la democrazia e la coscienza. Ma forse l’abuso ha portato a questo punto. Ma nel mirino non c’è soltanto l’istituto’voto segreto’. Nel mirino ci sono i franchi tiratori che secondo Musumeci hanno nome e cognome e così, invece, non avranno più cittadinanza.
Il Governatore intende attribuire a questa norma un peso specifico elevatissimo. Non esistendo all’Ars il voto di fiducia sarà Musumeci a considerare la norma sul voto segreto una sorta di espressione di fiducia. In pratica il presidente della Regione pensa di dire all’aula ‘o lo votate oppure mi riterrò sfiduciato, mi dimetterò e andremo tutti a casa’. Sì perché in caso di dimissioni del Presidente decade anche il Parlamento con tutti i 70 deputati. uno spauracchio non da poco.
E della proposta 5 stelle di un governo tecnico? Nemmeno a parlarne. Chi vuole venga in aula e voti senza scambi, ricatti, promesse e prebende. O così, oppure le urne.
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