È morta a Roma, dopo una breve malattia, Liliana Ferraro, 78 anni, magistrato che collaborò con Giovanni Falcone al ministero della Giustizia e, dopo la strage di Capaci, ne prese il posto alla Direzione degli Affari penali.

La carriera

Per anni in Via Arenula si è occupata dei rapporti tra il ministero e i magistrati. Ferraro conobbe Falcone negli anni 80 e si occupò, tra l’altro, della realizzazione dell’aula bunker in cui venne celebrato il primo maxiprocesso alla mafia. È stata anche assessore alla Sicurezza a Roma nella giunta Veltroni.

Il cordoglio di Maria Falcone

“Apprendo con grandissimo dispiacere della scomparsa di Liliana Ferraro, amica e preziosa collaboratrice di Giovanni al Ministero della Giustizia. Donna di grande intelligenza e capacità ha contribuito alla nascita della Fondazione intitolata a mio fratello. Grazie al suo impegno venne costruita in soli sei mesi l’aula bunker in cui fu celebrato il maxiprocesso alla mafia. Fu così possibile realizzare quel che Giovanni riteneva fondamentale: e cioè che proprio a Palermo, dove la mafia mostrava il suo volto più feroce, si tenesse il dibattimento che per la prima volta aveva portato alla sbarra centinaia di boss, gregari e uomini d’onore di Cosa nostra”. Lo ha detto Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso dalla mafia il 23 maggio del 1992 e presidente della Fondazione Falcone, commentando la notizia della morte del magistrato Liliana Ferraro.

“Voglio esprimere il mio cordoglio e la mia vicinanza alla famiglia. – ha concluso – A Liliana voglio dire ‘grazie'”.

I dubbi sulla Trattativa

Dopo il 23 maggio del 1992 l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli la nominò alla guida della Direzione degli Affari penali, prendendo di fatto, il posto del giudice Falcone ucciso a Capaci dalla mafia.

Alcune ombre emersero di recente sull’ex braccio destro di Falcone. La Corte d’assise di Palermo nelle motivazioni della sentenza di primo grado sulla cosiddetta “Trattativa Stato-mafia”, scrisse che Liliana Ferraro avrebbe reso una “deposizione sorprendente” con “eclatanti dimenticanze”.

I giudici bacchettarono la Ferraro, che avrebbe saputo dei contatti per la presunta trattativa tra i carabinieri del Ros (Mori e De Donno, poi assolti di recente al Processo d’Appello) e Vito Ciancimino ma non ne avrebbe parlato per 20 anni e quando lo ha fatto la sua ricostruzione è stata “poco credibile”.

“Atteggiamento ambiguo”

“Si è ritenuto opportuno – scriveva il presidente estensore Alfredo Montalto – le suddette considerazioni perché, pur senza volere ritenere che, come adombrato dal pm attraverso alcune domande, quelle reticenti dichiarazioni possano essere conseguenza del rapporto in qualche modo instaurato dalla Ferraro con i Servizi di Sicurezza di questo Paese quale consulente del competente dipartimento presso al Presidenza del Consiglio, non v’è dubbio che traspare dalla testimonianza della Ferraro un atteggiamento complessivamente ambiguo che fa il paio con l’evidente tentativo di minimizzare gli approcci del Ros con Vito Ciancimino”.

 

 

Articoli correlati