C’è un tema al quale non intendo sottrarmi. Vivo da sempre nel cuore della Sicilia, in quella periferia che voglio raccontare. Sin da piccolo ho imparato ad amare la mia terra e le sue genti per l’infinita capacità di donare amore al prossimo, senza mai pensare al colore della pelle o alla religione professata. Per la mia coscienza, per il modo di sentire religioso e per la mia formazione umana e politica, ho sempre pensato che il primo compito di ogni essere umano sia aiutare gli ultimi, i più deboli, i più poveri, gli emarginati.
Nella narrativa odierna non è semplice stabilire chi segga su quell’ultimo scalino. In fondo, è per questo motivo che il nostro Paese è diviso in una polemica astiosa su quale sia l’ultima delle fragilità. E’ chiaro, sto parlando di migranti e migrazioni, di chi fugge dalla povertà e di rifugiati che scappano dai conflitti (causati quest’ultimi, sia chiaro, quasi sempre da interessi Occidentali in terre africane).
A pochi chilometri dalla nostre coste, si stanno combattendo almeno due guerre. La prima è quella per il futuro della Libia. Petrolio, traffici e controllo del territorio sono gli inconfessabili motivi di quel conflitto, presentato all’opinione pubblica europea con il vestito buono della disputa religiosa o del diritto alla democrazia di quei popolo. Argomentazioni sottili e false come foglio di carta velina. L’altra guerra combattuta sia in mare, sia in terra è quella per la sopravvivenza di oltre mezzo milione di persone. Tanti sarebbero i migranti prigionieri nello scacchiere libico. Provengono da ogni angolo dell’Africa, ogni giorno sperano di veder il sole tramontare e non soccombere a violenze e soprusi, perché quello è il trattamento a cui vengono sottoposti giorno dopo giorno.
Visti da Fortezza Europa, quei migranti sono immagini confuse. C’è chi li chiama “risorse”, trasformando in oggetti le loro identità umane, e chi invece li ritiene dei problemi, chiudendo ogni porto e ogni porta della speranza a un loro arrivo sulle coste europee. E’ una follia collettiva. Con navi che salpano verso il Canale di Sicilia per salvare vite umane, nella paradossale certezza di dover comunque prepararsi a raccogliere salme martirizzate dalla salsedine. Ed infine, la tribuna del contesto mediatico mainstream, sempre pronta all’ospitata per soloni della propaganda pronti a spiegarci come sia rischioso accogliere chiunque, in nome della salvaguardia di un presunto “marker” di italianità (o in una dimensione più ampia di tenuta di un’identità europea). Ed ancora, un corollario di conti sulla demografia prossima ventura, proiezioni sulla previdenza: quando si parla di migrazioni, ogni genere di riflessione statistica o filosofica viene gettata in pasto all’opinione pubblica.
Sinceramente, ho parecchi dubbi. Nutro il sospetto che la cura del prossimo sia l’ultimo dei pensieri. Ho dubbi, perché temo che le argomentazioni esprimano soltanto la voglia di ottenere un vantaggio politico. D’altronde come spiegare, se non in forma di propaganda e ricerca del consenso, il concept leghista “Prima gli italiani”. Ma di quali italiani e di quale Italia si parla? Inutile girarci intorno. Quel messaggio ha un contenuto implicito, ovvero il timore che una precisa razza possa venire inquinata. Questo, amici miei, suona come puro razzismo.
Vado a braccio e non vorrei offendere nessuno: la cultura italiana, per come la vedo io, è già andata da un pezzo. La religione cattolica ne fu matrice. Oggi è solo un orpello consumato in modalità utilitaristica. L’italiano prega e si affida a Dio soltanto quando ha problemi. La vita sociale di un tempo non esiste più. Al posto dei baretti di periferia – dove si discuteva del tutto e del niente, dove si giocava a calciobalilla o al flipper – ci sono lounge bar e sofisticati happy hour, che di italico non hanno nulla. Lì la gente non parla, non si confronta; chatta a capo chino, navigando sui social per ribadire il proprio ego virtuale da contrapporre al nulla della realtà. Di cosa e da chi dovremmo sentirci defraudati? Non siamo altro che ombre di un passato, vi concedo, illustre. E non pensiate che i migranti siano felici di stare qui in Italia. I nostri valori sono tutti concentrati in un mondo di persone sole, in perpetuo contrasto di egoismo reciproco, nessun valore superiore ma solo denaro e potere. La politica dominante ne è la rappresentazione plastica, proprio con lo slogan “prima gli italiani”.
La mia ancora di salvezza, anche rispetto al tema delle migrazioni, è solo e soltanto la Chiesa. Ma, anche qui, quali parole ascoltare? Credere ed affidarsi come da dogma al Santo Padre Francesco che invoca un mondo aperto e più giusto? Oppure riflettere e condividere quanto sostiene il Cardinale Robert Sarah, africano: il suo è un invito esplicito affinché l’Europa chiuda gli ingressi, per non perdere identità e per non sottrarre linfa vitale al futuro del Continente Nero? Io non so decidere.
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