Dopo la definitiva condanna a tre anni e sei mesi di carcere per l’ex bomber del Palermo Calcio, Fabrizio Miccoli, arrivano le motivazioni con cui la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’ex calciatore confermando l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Le motivazioni della sentenza della Cassazione
Una “pluralità” di elementi hanno dimostrato “la condivisione da parte di Fabrizio Miccoli, degli atteggiamenti ‘culturali’ di numerosi soggetti appartenenti alla criminalità mafiosa (come per il richiamo ai rapporti intrattenuti con Francesco Guttaduaro, figlio di Filippo Guttadauro, detenuto per reati di mafia, e nipote di Matteo Messina Denaro) spesso tradotti esplicitamente in moduli comunicativi espressivi di disprezzo e denigrazione delle funzioni degli appartenenti alle forze dell’ordine”. Lo scrivono i giudici della seconda sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della sentenza con cui il 23 novembre scorso hanno confermato e reso definitiva la condanna a tre anni e mezzo per Miccoli.
I supremi giudici hanno rigettato l’appello della difesa dell’ex calciatore di origine salentina contro la sentenza decisa nel gennaio 2020 dalla Corte di Appello di Palermo per estorsione aggravata dal metodo mafioso, accogliendo la richiesta del sostituto procuratore generale della Suprema Corte Fulvio Baldi.
I rapporti con Lauricella e l’estorsione
Miccoli, che il giorno dopo la decisione della Cassazione si è costituito nel carcere di Rovigo, è accusato in particolare di aver sollecitato Mauro Lauricella, figlio di un mafioso del quartiere Kalsa, a chiedere la restituzione di ventimila euro all’imprenditore Andrea Graffagnini per conto del suo amico Giorgio Gasparini. I soldi erano frutto della cessione della discoteca Paparazzi di Isola delle Femmine.
“La lettura della motivazione (della sentenza di appello, ndr) dà puntualmente conto del costante controllo della vicenda da parte di Miccoli, che partecipò ad alcuni degli incontri predisposti da Lauricella con i debitori, veniva informato da Lauricella su ogni dettaglio quanto agli ulteriori incontri programmati con i debitori, agli ostacoli insorti, alle reazioni e alle scelte di far intervenire personaggi di primo piano della criminalità palermitana”.
Per gli ‘ermellini’, nelle motivazioni della sentenza di appello riportata dall’AdnKronos, “si è dato conto, in modo dettagliato e specifico, della fattualità caratterizzata dal ricorso a metodi, quali la scelta di moduli comunicativi, di specifiche circostanze di luogo, di determinati soggetti da coinvolgere negli incontri destinati a ‘convincere’ i debitori all’adempimento delle obbligazioni assunte, tutti riconducibili all’agire mafioso”.
Il pentimento e le lacrime in diretta
Per questa vicenda Miccoli ha espresso pubblico pentimento ed ha raccontato “Mi divertivo con lui, ma non sapevo fosse il figlio di un mafioso. Comunque è una persona alla quale voglio bene”, dichiarò nel corso del processo a Lauricella. La vicenda risale ormai ad oltre dieci anni fa e fece scalpore anche perché nelle intercettazioni si sentono frasi ingiuriose pronunciate da Miccoli e Lauricella all’indirizzo del giudice Giovanni Falcone.
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