Italiani popolo di navigatori, santi, poeti? Siamo proprio sicuri?
Quanto ai navigatori se ne sono perse le tracce in secoli lontani, i santi scarseggiano e abbondano i diavoli, ma di poeti ce ne sono a iosa. Stando all’elevatissimo numero di raccolte di poesie che ogni anno si pubblica con un modestissimo ritorno in termini di lettori. Ma quanti tra quelli che danno alle stampe i loro versi possono considerarsi davvero poeti? Pochi, pochissimi. La maggior parte sono poetucoli della domenica assecondati dal proliferare di editori a pagamento, fenomeno assai discutibile sotto il profilo etico.
Eppure c’è chi, in assoluta controtendenza a ciò che comunemente accade, ha per lungo tempo coltivato in segreto la sua passione non manifestando pubblicamente l’inclinazione per la poesia. E’ il caso di Grazia Cianetti, romana di nascita ma palermitana d’adozione, che solo nella tarda maturità ha deciso di tirar fuori dal cassetto, in cui erano gelosamente conservati, i propri versi e di pubblicarli in un testo. Rivelando talento e padronanza tecnica.
La sua raccolta s’intitola “Metà farfalla metà anima” ed è edita da Spazio Cultura con la prefazione di una delle voci poetiche oggi in Italia più significative, quella di Maria Grazia Calandrone.
Leggendo la silloge della Cianetti per primo viene da pensare allo scritto di Saba sulla “poesia onesta”, “Quel che resta da fare ai poeti”: scritto inviato alla “Voce” ma rifiutato dalla rivista fiorentina e poi pubblicato postumo nel 1959. La “poesia onesta”, prediletta dall’autore triestino, rifugge dai voli pindarici, dagli arditi virtuosismi, dalle acrobazie sperimentali fini a se stesse: da tutto ciò che è dissonante con l’intimo sentire.
E’ invece una poesia semplice, chiara, che riesce a coinvolgere il lettore, a catturarne le emozioni, per nulla astratta e ben ancorata alla realtà, dotata di una musicalità dettata dagli andamenti ritmici propri della nostra tradizione metrica.
Tutto ciò si riscontra in “Metà farfalla metà anima”. Una silloge che ha la sua cifra espressiva innanzitutto nell’aderenza alle cose e in un sentire insieme semplice e profondo. “Non so scrivere di massimi sistemi”, rivela l’autrice, “Le mie poesie sono come / i miei quadri di stoffe. / Ritagli di memorie, storie / minime, gesti colorati / fermati”.
Già, i “quadri di stoffe”: la Cianetti si diletta a confezionarli e un suo collage di stoffe è riprodotto nell’elegante copertina. Poesie di memorie dunque, come quella, toccante, dedicata alla madre, alle sue mani operose indici della vitalità che l’animava: “Le mani di mia madre. / Quando non seppe più / che farsene / un giorno le posò sui ginocchi. / Morì poco dopo”.
Ma anche poesie immerse nella quotidianità, fatte di incontri spesso casuali, attente ai dettagli del vivere, alle piccole cose, e in ciò ricche di umanità. Si leggano ad esempio “Vendeva una rosa”, l’incontro con un extracomunitario che vende fiori al rosso del semaforo: “Mi ha dato la rosa / dal finestrino dell’auto. / Ho messo in moto. / Mi ha chiamato / “mamma!”, e “Donna sconosciuta”, una mendicante nella quale la Cianetti scorge un disperato bisogno d’aiuto e l’espressione generale di una condizione esistenziale provvisoria e dolente: “Per tutti dietro l’angolo / c’è appostata una pena, / per tutti dietro l’angolo / c’è appostato un mistero”.
Lo sguardo della Cianetti, rivolto al passato e al presente, è uno sguardo carico di malinconia, ma anche disincantato: lo sguardo di chi accetta, malgrado tutto, la vita con i suoi misteri, le sue afflizioni, le sue monotone e routinarie incombenze: “Tutto è già stato / chissà quando. / Il passato è passato. / Godot non è mai arrivato”.
Ma la vita, per la Cianetti, per quanto attraversata dal dolore, sa offrire emozioni da cogliere e non lasciarsi sfuggire, e la natura manifesta bellezza meritevole di essere cantata: “Quando apri le finestre e guardi fuori / t’invade uno splendido cielo barocco, / un cielo di grandi pitttori”.
E se, come nota la Calandrone nella prefazione, “il senso della fine pervade tutto il libro…senza compiacimento”, quale “un purissimo dato di fatto al quale è del tutto superfluo ribellarsi”, la voce pacata della Cianetti non si lascia irretire da cupe lamentazioni o da ostentati pessimismi.
Stile piano, conversevole, quello della Cianetti, accurato e frutto di elaborazione assai più di quanto possa apparire a un lettore superficiale. La meticolosa scelta delle parole, tratte dal quotidiano, nella cornice di una metrica controllata tipica del ‘900 (versi liberi perlopiù brevi con frequente e sapiente ricorso a enjambement), il gusto quasi provocatorio della semplicità fanno di “Metà farfalla metà anima” una silloge di rilievo estetico nella quale affiora quella “delicata sensibilità” notata da Nicola Romano nella quarta di copertina. E ne fanno pure, nel suo neocrepuscolarismo non di maniera e non privo di schizzi d’ironia, un’opera felicemente atipica nell’attuale panorama poetico italiano.
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