“Matteo Messina Denaro è stato catturato grazie al metodo Dalla Chiesa cioè l’accumulo di tantissimi dati informativi raccolti da tanti reparti dei carabinieri, sulla strada attraverso intercettazioni telefoniche, banca dati dello Stato delle regioni amministrative per consentire all’arresto di questa mattina”. Lo dice il comandante dei carabinieri Teo Luzi arrivato a Palermo.
“Una grande soddisfazione perché è un risultato straordinario nella lotta alla criminalità organizzata e di Cosa Nostra siciliana – aggiunge Luzi -. Matteo Messina Denaro era un personaggio di primissimo piano operativo, ma anche da un punto di vista simbolico perché è stato uno dei grandi protagonisti dell’attacco allo Stato con le stragi. Risultato reso possibile dalla determinazione e dal metodo utilizzato”.
“Determinazione perché per 30 anni abbiamo voluto arrivare alla sua cattura soprattutto in questi ultimi anni con un grandissimo impiego di personale e di ricorse strumentali. Un risultato grazie al lavoro fatto anche dalle altre forze di polizia particolare dalla polizia di Stato. La lotta a cosa nostra prosegue. Il cerchio non si chiude. E’ un risultato che dà coraggio che ci dà nuovi stimoli ad andare avanti e ci dà metodo di lavoro per il futuro, la lotta alla criminalità organizzata è uno dei temi fondamentali di tutti gli stati”.
Alla cattura del boss Matteo Messina Denaro i magistrati palermitani e i carabinieri del Ros sono arrivati con quella che si definisce una indagine tradizionale. Da almeno tre mesi gli inquirenti analizzavano le conversazioni dei familiari del capomafia intercettati. Spunti e battute di chi sa che è sotto controllo, ma non può fare a meno di parlare da cui è emerso che il padrino di Castelvetrano era gravemente malato, tanto da aver subito due interventi chirurgici. Uno per un cancro al fegato, l’altro per il morbo di Crohn. Una delle due operazioni peraltro era avvenuta in pieno Covid. Sono partite da qui le indagini.
I magistrati e i carabinieri hanno scandagliato le informazioni della centrale nazionale del ministero della Salute che conserva i dati sui malati oncologici. Confrontando le informazioni captate con quelle scoperte gli inquirenti sono arrivati a certo un numero di pazienti. L’elenco si è ridotto sulla base dell’età, del sesso e della provenienza che, sapevano i pm, avrebbe dovuto avere il malato ricercato. Alla fine tra i nomi sospetti c’era quello di Andrea Bonafede, nipote di un fedelissimo del boss, residente a Campobello di Mazara. Dalle indagini però è emerso che il giorno dell’intervento scoperto grazie alle intercettazioni Bonafede era da un’altra parte. Quindi il suo nome era stato usato da un altro paziente. Le indagini hanno poi confermato che stamattina Messina Denaro, alias Bonafede, si sarebbe dovuto sottoporre alla chemio.