Alla fine dei conti, l’unico aiuto concreto che l’Unione Europea è disposta a concedere, in tempi brevi, al nostro Paese è il Mes, il tanto vituperato Meccanismo europeo di stabilità. Argomento delicato: si tratta di un fondo finanziario con sede a Lussemburgo. Roba da far storcere il naso ai puristi della trasparenza finanziaria, nonostante quello stesso fondo sia partecipato da quasi tutti gli Stati che partecipano all’area euro. E’ uno strumento da maneggiare con cura, perché ottenere fondi dal Mes, per una nazione sovrana, significa quasi sempre legarsi le mani ad un controllo rigorosissimo da parte del fondo stesso e dei suoi dirigenti che agiscono, va detto, con uno scudo penale e civile amplissimo. Vedere alla voce Grecia, per capire quale tipo di vincoli si possono mettere in moto.
L’Italia ha il 17 per cento delle quote di quel fondo a cui abbiamo già destinato, in ragione di quella partecipazione, poco più di 14 miliardi di euro. Ora che siamo veramente nei guai, l’Eurogruppo ha dato il via libera a questo tipo di aiuti per i paesi colpiti dalla pandemia. L’Italia potrebbe ottenere fino ad un massimo di 37 miliardi di euro per far fronte all’emergenza sanitaria. Per mesi, il Mes è stato al centro di una battaglia politica senza quartiere, dividendo maggioranza ed opposizione. I sostenitori dell’utilizzo del Mes sostengono che sarà possibile ottenere quei fondi senza le cosiddette condizionalità ovvero quelle clausole che consentirebbero al Fondo di commissariare in futuro l’Italia, se i conti non dovessero tornare in ordine. I detrattori, ribaltano il punto di vista, sulla base di un principio ragionevole: nonostante le rassicurazioni dell’Eurogruppo, le condizionalità non sarebbero derogabili, poiché contenute e previste nel trattato alla base del Mes.
E’ impossibile stabilire chi abbia ragione e chi torto. Quei fondi ci salveranno o costituiranno il cappio per la morte sociale ed economica del paese? Lo scopriremo soltanto se avremo accesso a quei denari. Un bel rischio, non c’è dubbio. Ma non mi sembra esistano alternative.
Metto da parte per un attimo la disputa politica, ed immagino quel che potrebbe accadere nel momento in cui l’Italia attivi la procedura per ottenere quei 37 miliardi in prestito. Perché di prestito si tratta. A giudicare dal disastro burocratico del nostro Paese, il rischio Mes è altrove. Basta ricordare quel che è successo dall’inizio di questa dannata crisi: dalle mascherine introvabili, alle procedure di autocertificazione, dai prestiti alle imprese al disastro della cassa integrazione. Ecco, quale risposta saprebbe dare la burocrazia italiana se dovesse gestire quei 37 miliardi. A chi arriveranno? Come verranno spesi? Quali saranno le priorità? Quali le procedure? Sono somme destinate all’emergenza sanitaria: quindi al Sud, uscito almeno in questa fase indenne dal contagio, non toccherebbe nulla? O potremmo avere anche noi delle risorse per riequilibrare i limiti del nostro sistema sanitario e prepararci, con posti letto e terapie intensive, ad una nuova possibile ondata?
Il punto, quindi, non è se accedere o meno al Mes. La vera sfida è fare in modo che quei soldi, se si dovesse decidere di utilizzarli, non vadano sprecati e non siano dispersi in migliaia di rivoli inutili, nella sacche di una burocrazia già incapace di gestire il normale, del tutto inconsistente in momenti di crisi come questa.