Medici in fuga dalla Sicilia o in fuga dalla professione. E quanto pesa la struttura spesso inadeguata in questa fuga ? Dopo le inchieste che mostrano come 4 dei peggiori ospedali italiani siano in sicilia e dopo gli allarmi carenza di professionisti nella sanità abbiamo chiesto al Presidente dell’ordine dei medici Toti Amato quanto davvero la sanità soffra questo problema e come lo si può affrontare
“Innanzitutto il medico fugge volendo fare ancora il medico. Quindi non parlo di chi vuole abbandonare la professione per una serie di motivi. Uno di questi è certamente l’aspetto economico, che non è però l’unico aspetto. Fuggono dalla Sicilia non tanto per andare al Nord, ma per andare direttamente all’estero, dove ci sono situazioni piuttosto allettanti. Lasciamo stare l’Arabia Saudita, dove tanti vanno e sono pagati con contratti milionari, ma vanno anche e soprattutto altrove, principalmente Inghilterra, Germania, Francia e anche Spagna”.
“Il Regno Unito continua a dare opportunità ai professionisti formati in Italia, anche se la situazione non è delle migliori ma continua ad essere una meta importante della migrazione. Non si guadagna tanto di più, ma le condizioni di lavoro sono diverse. Innanzitutto la gratificazione personale che ha il medico come l’infermiere. Lavorando in un ambiente dove tutto è nuovo e ben strutturati e c’è un’organizzazione attorno per cui ci si sente facente parte di quella struttura, cambia la prospettiva professionale. La gratificazione c’è, anche perché se sei bravo puoi andare avanti, cosa che da noi, purtroppo molte volte non c’è più”.
Intervenire sulla gestione
“Su questo bisogna fare anche una profonda riflessione sui modelli gestionali – dice Amato – in fin dei conti, in questo momento la gestione viene considerata, essendo il nostro sistema sanitario aziendale, solo sulla produttività. Non ci sono parametri precisi sulla qualità dei servizi erogati. Che cosa significa? Significa che quel medico bravo che può fare anche un intervento al giorno, ma fa un intervento particolare su un soggetto con patologia complessa, alla fine viene quantificato quasi quanto un altro che può essere un intervento più semplice”.
Quanto pesa la vetustà delle nostre strutture?
“Dobbiamo fare un ragionamento più ampio. Nell’arco degli ultimi vent’anni possiamo considerare che la spesa per il servizio sanitario, sia riguardo il personale sia le strutture, è stata sempre considerata un costo”.
“Indubbiamente ci sono situazioni imbarazzanti che imbrattano il sistema perché ci sono vecchi debiti. ci sono poi tante strutture vecchie. Il nostro sistema e le nostre strutture ospedaliere, basta guardarle con i nostri occhi, hanno un tipo di struttura che è superata. Noi abbiamo singoli reparti distinti e separati, i cosiddetti padiglioni. Succede all’ospedale civico come al Policlinico, lo stesso a Villa Sofia. Oggi la struttura all’ospedale deve avere un corpo unico a più braccia, dove si entra da un lato senza dover uscire con le ambulanze che devono trasferire le persone dallo stesso ospedale da un reparto all’altro. La vetustà sta anche in questo devo dire”
Ma si è fatta tanta edilizia ospedaliera in questi anni
“Questo senz’altro. Allora faccio un passo di tanti anni indietro. Quando io fui chiamato a partecipare ero l’unico medico, in quanto anche igienista, quella che è stata la commissione dell’edilizia ospedaliera. Ecco perché noi stiamo pagando queste cose. Allora si pensò di costruire l’Ismett. Nessuno voleva andare per paura poi di essere indagato. Ma come presidente dell’Ordine dei medici io feci parte di questa commessa. Quello che è stato realizzato oggi è certamente un esempio, una eccellenza. Ma è una struttura piccola”.
“Ma quando si dovette costruire il polo chirurgico dell’ospedale Cervello e dell’ospedale Villa Sofia le cose furono diverse. Ebbene, è sotto gli occhi di tutti l’ospedale in pratica non si tenne conto del piano regolatore che prevedeva il passaggio di via Croce Rossa. nessun coordinamento fra le istituzioni, c’era l’esigenza di fare subito per non perdere i fondi e adesso abbiamo un palazzo in mezzo alla strada, interrompendo quello che doveva essere il corso della strada. Il Poli chirurgico di Villa Sofia è questo, un palazzo che taglia una strada. E’ storia”.
Se le fosse chiesto un consiglio, come si esce da questa situazione?
“Innanzitutto aumentando il numero dei medici solamente questo perché oggi i medici soffrono del cosiddetto burn out ovvero sono schiacciati dal superlavoro. Ci sono medici che al termine della loro servizio non riescono ad andare a casa perché devono sostituire altri medici e questo non è possibile per qualsiasi lavoratore. Ma si è anche considerati male. L’Italia è vista male per questo dal resto del mondo. Ci sono norme internazionali che vanno rispettate e servono più persone, più lavoratori, più medici e non solo medici ma più in generale professionisti della sanità. Perché il medico da solo non serve. La figura più vicino al medico è l’infermiere, il dottore in Scienze infermieristiche servono medici e infermieri, altrimenti non c’è niente da fare. Se si ottempera questa esigenza e allora il medico può andare a lavorare anche con una situazione di economia ridotta, ma molto meglio, molto più tranquillo, lavorando insieme”.
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