Un’operazione congiunta delle Procure Europee di Palermo e Milano ha portato all’esecuzione di 47 misure cautelari e al sequestro di beni per 520 milioni di euro, nell’ambito di un’inchiesta su una maxi evasione IVA. L’organizzazione criminale, con legami con mafia e camorra, avrebbe evaso centinaia di milioni di euro attraverso false fatturazioni per 1,3 miliardi di euro. I reati contestati includono associazione a delinquere finalizzata alle frodi fiscali aggravate dal metodo mafioso e riciclaggio. Tra le misure cautelari emesse dal GIP di Milano, su richiesta della Procura Europea (EPPO), figurano 34 arresti in carcere, 9 arresti domiciliari e 4 misure interdittive. Sono stati emessi anche 7 mandati di arresto europei. I sequestri preventivi, anche per equivalente, riguardano beni per oltre 520 milioni di euro, corrispondenti all’IVA evasa, e diversi immobili, tra cui resort a Cefalù (PA) per un valore complessivo di oltre 10 milioni di euro. L’inchiesta si concentra su una maxi evasione dell’IVA intracomunitaria nel commercio di prodotti informatici e sul riciclaggio dei profitti illeciti.
L’indagine ha svelato un complesso sistema di affari illeciti che utilizzava il commercio di arance tra la Sicilia e il Brasile come copertura per attività criminali. Questo business serviva a mascherare investimenti immobiliari e intricate scatole cinesi gestite da Cosa Nostra, con ramificazioni dal Sud America alla Svizzera e a Singapore. L’inchiesta ha portato alla luce le frizioni tra esponenti di spicco della mafia palermitana, come Nino Spadaro e Giuseppe Calvaruso (detto Gnometto), e l’imprenditore bagherese Giuseppe Bruno, prestanome di Rodolphe Ballaera, una delle menti delle frodi. Motivo del contendere, l’Herons Bay, un hotel a Marsala, che avrebbe causato ingenti perdite finanziarie al gruppo criminale.
L’inchiesta ha fatto emergere la figura di Toni Lo Manto, personaggio chiave nel panorama della mafia imprenditoriale. Nonostante non sia direttamente coinvolto in procedimenti giudiziari, Lo Manto, grazie ai suoi legami familiari con esponenti di Cosa Nostra e alla sua rete di relazioni, viene considerato un figura di spicco nel mondo degli affari legati alla criminalità organizzata. L’indagine, denominata “Operazione Moby Dick”, ha evidenziato i suoi rapporti con il boss Lorenzo Tinnirello e con i fratelli Antonio e Sandro Capizzi, figli del boss di Villagrazia Benedetto.
Secondo l’accusa, Lo Manto avrebbe trasformato la sua appartenenza mafiosa in un’attività imprenditoriale, sfruttando le mutate dinamiche dell’organizzazione criminale, che si è evoluta da attività tradizionali a partner in affari illeciti. Lo Manto avrebbe utilizzato la sua influenza mafiosa per avviare attività imprenditoriali, abbandonando la criminalità da strada per un business più sicuro. Intercettazioni rivelano come Lo Manto stesso abbia ammesso di aver sfruttato la sua militanza nella mafia per intraprendere attività imprenditoriali, spiegando come la strategia della sommersione di Cosa Nostra, portata avanti da Provenzano, abbia permesso un cambio di atteggiamento. In passato, ai tempi di Riina, era impossibile rifiutare gli ordini, mentre oggi le scelte sono possibili. Lo Manto afferma di aver scelto la strada imprenditoriale per non “sfidare ulteriormente la fortuna”, dopo una vita trascorsa “in mezzo alla strada”.