Matteo Messina Denaro, 61 anni, è morto lo scorso 25 settembre in un letto d’ospedale dell’Aquila, stroncato da un cancro, l’unica condanna a cui non si è potuto sottrarre.
Come scrive Il Giornale di Sicilia, l’imprendibile capomafia di Cosa nostra trapanese, arrestato il 16 gennaio 2023 dagli uomini del Ros, dopo trent’anni di latitanza, ha portato però con se tutti i suoi segreti a cominciare dall’immensa fortuna in denaro di cui nessuno ha traccia. Anche se una pista sembra nuovamente portare in Svizzera.
Il tesoro in Svizzera
Dopo la sua cattura la Procura di Palermo a settembre scorso ha, infatti, riaperto la rogatoria di ricerca dei capitali nella Repubblica federale svizzera. Rogatoria che già aveva portato nel 2015/2016 i magistrati della procura federale a perquisire società finanziarie, istituti di credito ticinesi e a sentire alcune persone che in Ticino erano in affari con Giovanni Domenico Scimonelli, l’imprenditore di Partanna fedelissimo di Matteo Messina Denaro, condannato nel 2018 all’ergastolo come mandante dell’omicidio di Salvatore Lombardo, ucciso a Partanna.
La condanna della faccendiera
Il giudice per l’udienza preliminare di Palermo ha condannato a 13 anni e 8 mesi in abbreviato, per concorso esterno in associazione mafiosa, Lorena Lanceri, la donna che ha per mesi ha accudito durante la latitanza il boss Matteo Messina Denaro. A 6 anni e 8 mesi è stato condannato il marito Emanuele Bonafede, imputato di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena.
Inizialmente era stata contestata il favoreggiamento
A Lanceri, legata sentimentalmente al capomafia, era stato contestato inizialmente il favoreggiamento: nel corso delle indagini l’accusa è stata modificata.
L’inchiesta
L’inchiesta che ha portato a scoprire il ruolo della Lanceri e del marito, cugino del geometra che ha prestato l’identità al boss, è stata coordinata dal procuratore Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido. L’accusa in aula è stata sostenuta dai pm Gianluca de Leo e Piero Padova. Emanuele Bonafede e Lorena Lanceri per mesi hanno ospitato Matteo Messina Denaro, durante la latitanza, a pranzo e cena nella loro casa di Campobello di Mazara.
“Così consentendogli – dicono gli inquirenti – non solo di trascorrere molte ore in piena tranquillità e in loro compagnia in un contesto domestico – familiare ma, anche e soprattutto, di incontrarsi con numerose persone e infine, ma non per importanza, di entrare ed uscire dalla loro abitazione effettuando accurati controlli per ridurre il rischio di essere avvistato dalle forze dell’ordine”.
Commenta con Facebook