Messina Denaro, 28 anni da latitante
- Il libro di Marco Bova, giornalista e regista trapanese
- La recensione di Enrico Bellavia (L’Espresso)
- Il volume edito da “Ponte alle Grazie”
Matteo Messina Denaro, latitante di Stato. E’ il titolo del primo libro di Marco Bova, talentuoso giornalista d’inchiesta trapanese, un volume destinato a lasciare il segno. Per la sua opera prima in campo editoriale – seguito necessario a una consolidata esperienza da cronista, regista cinematografico e inviato in scenari di guerra – Bova affronta da una nuova prospettiva i 28 anni di latitanza del boss di Castelvetrano Messina Denaro.
II filo narrativo del libro, edito per i tipi di “Ponte alle Grazie”, è come suggerisce la recensione di Enrico Bellavia, caporedattore centrale del settimanale “L’Espresso”, “un itinerario sui passi falsi. Le piste colpevolmente abbandonate, le mani leste che hanno sottratto prove, le coperture che hanno protetto la fuga, gli affari che governano l’intima necessità della sua libertà. Un percorso di guerra tra nemici riconoscibili e molti dalla doppia e tripla identità, annidati ovunque. Cecchini anche ai piani alti dei palazzi che contano, la politica, la magistratura, gli apparati investigativi e dei servizi, capaci di sparare a vista con precisione millimetrica per atterrare i cacciatori”.
Bellavia: è una storia sconcertante
Bellavia promuove il lavoro di Bova, sottolineando come la storia raccontata dal giornalista trapanese sia “più sconcertante della pur prolifica produzione sul tema. Ne viene fuori un’analisi puntigliosa delle tracce cancellate che hanno allungato i giorni e gli anni della fortuna di un boss, nato nella culla dell’intreccio tra mafia e massoni”.
Bova ricostruisce anche le filiere del potere economico che ruotano attorno a Matteo Messina Denaro, “Diabolik”: Grande distribuzione, turismo, energie rinnovabili, sanità, produzione vinicola, fondi pubblici, tanti e a pioggia, grandi eventi.
Il puzzle ricostruito da Bova è – come spiega il caporedattore dell’Espresso – un elenco di «covi caldi» e «cerchi che si stringono», cimici che smettono di funzionare, che i familiari di Matteo Messina Denaro rintracciano con provvidenziali bonifiche, talpe che soffiano dettagli salvifici, punteggiano interi paragrafi di questa «corsa avvelenata».
Nel suo lavoro, Bova ricostruisce con l’aiuto del protagonista, morto nel maggio scorso, il carteggio epistolare intrattenuto tra Alessio, alias Matteo Messina Denaro e Svetonio, lo pseudonimo affibbiato dal latitante all’ex sindaco della sua città, Castelvetrano, il professore Antonino Vaccarino, infiltrato dai servizi con l’obiettivo della cattura ma poi inspiegabilmente bruciato.
Interi capitoli del libro sono dedicati agli scontri all’interno del mondo della Giustizia. Ci ricorda sempre Bellavia che ”pende ancora a Caltanissetta, per dire, l’inchiesta sulla misteriosa sparizione dell’archivio delle indagini condotte per anni dal pm, poi procuratore aggiunto, Teresa Principato. Nel 2015, il suo braccio destro, Carlo Pulici finì denunciato per molestie, e subì improvvisamente l’ostracismo della procura di Palermo, ritrovandosi nel gorgo del désordre giudiziario che servì a sbarrare la strada alla procura di Roma di Marcello Viola, allora procuratore a Trapani. Pulici, assolto da tutto dopo 5 processi, ha dovuto pensionarsi dalla Finanza che aveva tagliato fuori dalle inchieste un altro solerte investigatore, Carmelo D’Andrea. Viola, è uscito a testa alta dall’accusa di aver ricevuto sottobanco proprio da Pulici verbali del pentito Giuseppe Tuzzolino, legati alle ricerche di Messina Denaro che era legittimo che avesse”.
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