Trent’anni di misteri attorno a Matteo Messina Denaro. Addirittura era stata sparsa la voce che potesse essere morto. Che fosse “tenuto in vita” dai fedelissimi per poter continuare a spargere terrore. Alla fine era vivo e vegeto il superlatitante numero uno, trovato questa mattina all’interno di una clinica privata Palermitana. Da tempo si diceva che Messina Denaro avesse problemi di salute.
“Figlio d’arte”
Messina Denaro è figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina. Era latitante dall’estate del 1993. In una lettera scritta alla fidanzata dell’epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze, preannunciò l’inizio della sua vita da “primula rossa”. “Sentirai parlare di me – le scrisse, facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue -. Mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità”.
Le condanne
Il capomafia trapanese è stato condannato all’ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo. Parliamo del figlio del pentito strangolato e sciolto nell’acido dopo quasi due anni di prigionia. Ma Messina Denaro è stato condannato anche per le stragi del ’92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino. Partecipò anche agli attentati del ’93 a Milano, Firenze e Roma.
L’ultimo “grande” boss
Messina Denaro era l’ultimo boss mafioso di “prima grandezza” ancora ricercato. Per il suo arresto, negli anni, sono stati impegnati centinaia di uomini delle forze dell’ordine. Oggi la cattura, che ha messo fine alla sua fuga decennale. Una latitanza record come quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni.
30 anni fa l’arresto di Totò Riina
Strani casi del passato. Proprio 30 anni fa a Palermo i carabinieri arrestavano Totò Riina. Anche quella fu una grande vittoria dello Stato contro la mafia. Quel giorno i carabinieri intercettarono l’auto del capomafia appena uscita dal residence di via Bernini in cui viveva da tempo con la famiglia. L’operazione fu condotta dal gruppo guidato dal capitano Ultimo.
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