Il dramma dell’erosione delle coste è un tema ad intermittenza. Nel senso che da oltre cinquanta anni occupa almeno una volta l’anno le prime pagine dei giornali. Se ne parla per un giorno: convegni, dibattiti e piani d’intervento, con il classico corollario di investimenti a singhiozzo. Poi si rinvia tutto ad un futuro prossimo, all’amministratore che subentrerà dopo le imminenti elezioni, al successivo bando di gara. Ma la situazione è da red alert.
Persino nei documenti ufficiali – dove sono riportate le statistiche governative – viene scritto che “la tutela delle coste è diventato un impegno imprescindibile a cui tutte le istituzioni, centrali e periferiche, non possono più sottrarsi sia per l’aggravarsi delle condizioni di stabilità fisica che per difendere quella parte di economia strettamente connessa ai territori”.
Ogni anno, ricordava qualche settimana fa il quotidiano “La Repubblica”, “spariscono cinque chilometri quadrati di litorale, secondo la più ottimistica delle analisi, il 14 per cento della costa siciliana è a rischio erosione, mentre secondo gli ambientalisti il pericolo riguarda addirittura una spiaggia su tre”.
Sui dati si può discutere all’infinito: cambia poco sapere se stiamo rischiando di perdere un terzo delle nostre spiagge o soltanto un sesto. La verità che è soltanto colpa nostra. Esclusivamente nostra. Una serie di fattori antropici si combinano tra loro e hanno come unico effetto la distruzione del territorio. La terra è un organismo vivente, reagisce alle attività umane. C’è chi guarda questo fenomeno sotto il profilo del danno economico, pensando ai mancati proventi del settore turistico, già calcolati, per il sistema Italia, in oltre cento milioni di euro l’anno. E’ una visione miope. Perché interi arenili sono già scomparsi o sono fortemente arretrati e il disastro non è ancora finito: il fenomeno dell’erosione costiera in Sicilia si aggraverà in futuro.
Non è una profezia, ma la semplice lettura di dati scientifici e delle cause di questo fenomeno. Elenchiamo le principali: il mare aggredisce la costa per le urbanizzazioni lungo i corsi dei fiumi, per la cementificazione degli argini, a causa dell’estrazioni di ghiaia e sabbia dagli alvei fluviali, per i disboscamenti, per la costruzione di dighe senza adeguate valutazioni di impatto ambientale.
Questi fattori combinati tra loro, e sommati al progressivo abbandono dell’agricoltura e la mancata cura dei terreni, stanno creando un mix letale che sta letteralmente affondando le nostre coste. Anche la spiaggia della mia Termini Imerese ha subito danni. Che dire di quel che succede a Eraclea Minoa, dove è stato letteralmente inghiottito un boschetto mediterraneo. L’intero tratto costiero tirrenico occidentale è sotto scacco.
Cosa fare? Ogni investimento risulterà vano se non ricominciamo ad amare la nostra terra: dobbiamo puntare sull’agricoltura e sulla cura dei territori, dobbiamo rispettare la potenza del mare e difendere le nostre spiagge. Non esistono soluzioni comode, ma mai come in questo caso, dobbiamo affidare il nostro futuro alle tecnologia, con monitoraggi costanti, con interventi hi-tech mirati e con tanta buona volontà, nel cambiare quelle cattive abitudini che ci hanno condotto sino a questo punto.
Si può fare. A Termini Imerese, ad esempio, per mitigare gli effetti di questa calamità, si potrà intervenire in quel tratto di spiaggia che inizia di fronte allo stabilimento ex “Olis” e si prolunga in direzione Trabia. I lavori prevedono la costruzione di 4 “dighe soffolte” (ovvero erette fin poco sotto il pelo dell’acqua). Grazie a queste opere di protezione diretta dai fenomeni erosivi, col tempo si potrà avviare il ripascimento della spiaggia.