Assolto in appello il manager delle scommesse Vincenzo Fiore. In primo grado aveva avuto 9 anni per concorso esterno. La Corte di appello di Palermo lo ha assolto con la formula perché il fatto non sussiste. Fiore è difeso dagli avvocati Giovanni Castronovo e Alfonso Lucia. Dopo la letture del verdetto è stato subito scarcerato. Gli sono stati dissequestrati tutti i beni, tra cui Gaming Managment Group e Kioskito srl.
Regge l’impalcatura dell’accusa
Per il resto regge la ricostruzione dell’accusa. Sono stati condannati a 10 anni Salvatore Rubino, 11 anni Francesco Paolo Maniscalco, 4 anni Girolamo Di Marzo, 4 anni e 6 mesi Christian Tortora. Gli imputati rispondevano, a vario titolo, di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori aggravato dal favoreggiamento mafioso.
L’origine dell’indagine
Questo è solo un troncone giudiziario che riguarda la vicenda venuta fuori nell’ambito dell’operazione “All in” del 2020 della guardia di finanza. All’epoca finirono sotto indagine 8 imprese, con sede in Sicilia, Lombardia, Lazio e Campania, cinque delle quali titolari di concessioni governative cui fanno capo i diritti per la gestione delle agenzie scommesse. Nove agenzie scommesse, a Palermo, a Napoli e in provincia di Salerno, che 3 anni fa erano gestite direttamente dalle aziende riconducibili agli indagati, per un valore complessivo stimato in circa 40 milioni di euro.
Imprese collegate alla mafia
Le attività economiche sono state ritenute riconducibili al paradigma dell’“impresa mafiosa”. Anzitutto perché, secondo le fiamme gialle, erano strategicamente dirette da soggetti appartenenti e contigui a “Cosa Nostra”. E poi perché finanziate da risorse economiche provento del delitto associativo di stampo mafioso. I summit si tenevano in un falegnameria di via Paolo Emiliani Giudici. Incontri fra i manager e i boss ascoltati dai finanzieri del Gico grazie ad una microspia. Un giorno fu necessario l’intervento di Settimo Mineo, l’anziano boss di Cosa nostra che aveva avuto l’incarico di ricostituire la commissione provinciale di Palermo, la Cupola. Fu chiamato in causa perché si era determinato un contrasto all’organizzazione. La questione fu risolta proprio da lui.
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