La mafia e il business delle scommesse. Un affare ambito dai boss di cosa nostra svelato grazie all’operazione “All In” della Guardia di Finanza a Palermo.
L’indagine è stata coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia. I finanzieri hanno eseguito un’ordinanza cautelare nei confronti di 10 persone. Cinque sono finiti in carcere: Francesco Paolo Maniscalco, 57 anni, Salvatore Sorrentino, 55 anni, Salvatore Rubino, 59 anni, Vincenzo Fiore 42 anni e Christian Tortora, 44 anni. Per tre sono scattati i domiciliari: Giuseppe Rubino, 88 anni, Antonino Maniscalco, 26 anni e Girolamo Di Marzo, 61 anni. Per due fratelli Elio Camilleri, 62 anni e Maurizio Camilleri 65 anni è stata invece applicata la misura del divieto di dimora nel territorio del Comune di Palermo. Sono indagati a vario titolo indagati per la partecipazione e il concorso esterno nell’associazione di stampo mafioso “Cosa nostra”, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori, questi ultimi reati aggravati dalla finalità di aver favorito le articolazioni mafiose cittadine.
Con il medesimo provvedimento il gip ha disposto il sequestro preventivo: dell’intero capitale sociale e del relativo complesso aziendale di 8 imprese, con sede in Sicilia, Lombardia, Lazio e Campania, cinque delle quali titolari di concessioni governative cui fanno capo i diritti per la gestione delle agenzie scommesse.
Nove agenzie scommesse, a Palermo, a Napoli e in provincia di Salerno, attualmente gestite direttamente dalle aziende riconducibili agli indagati, per un valore complessivo stimato in circa 40 milioni di euro.
Le attività economiche in esame sono state ritenute riconducibili al paradigma dell’”impresa mafiosa”, in quanto: strategicamente dirette da soggetti appartenenti e contigui a “Cosa Nostra”; finanziate da risorse economiche provento del delitto associativo di stampo mafioso.
I summit si tenevano in un falegnameria di via Paolo Emiliani Giudici: incontri fra i manager e i boss ascoltati dai finanzieri del Gico grazie ad una microspia. Un giorno di due anni fa, arrivò anche Settimo Mineo, l’anziano di Cosa nostra che aveva avuto l’incarico di ricostituire la commissione provinciale di Palermo, la Cupola.
Fu chiamato in causa perché si era determinato un contrasto fra Rubino e i Camilleri, che volevano uscire dalla società. Non ci si metteva d’accordo sulla cifra da restituire. Intervenne l’anziano boss per dirimere la questione. Dando ragione a Rubino e Maniscalco.
“L’attacco agli interessi economici di cui Cosa nostra è detentrice deve costituire un’azione sistematica e complementare rispetto al tradizionale contrasto di tipo militare, al fine di eliminare o comunque limitare la pericolosità criminale connessa alla permanenza di riserve di capitali illeciti che possono essere impiegati per ripristinare l’operatività della struttura mafiosa colpita dagli arresti. L’obiettivo è quello di sottrarre al mafioso ogni beneficio economico derivante dalla propria azione criminosa – afferma Gianluca Angelini comandante del Nucleo Operativo Economica e Finanziaria della Guardia di Finanza di Palermo – Oggi più che mai per scovare Cosa nostra bisogna seguire il denaro e i flussi finanziari”.
Il provvedimento è in corso di esecuzione da parte di 200 militari della Guardia di Finanza, in forza ai Reparti di Palermo, Milano, Roma, Napoli e Salerno, che stanno inoltre effettuando decine di perquisizioni in luoghi nella disponibilità degli indagati situati oltre che in Sicilia, anche in Campania, nel Lazio e in Lombardia.
Le complesse investigazioni condotte dagli specialisti antimafia del Gico del Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria di Palermo, seguite dal sostituto procuratore Dario Scaletta e coordinate dal procuratore aggiunto Salvatore de Luca, svolte con l’ausilio di intercettazioni telefoniche e ambientali, appostamenti, pedinamenti, videoriprese, esami dei flussi finanziari, hanno consentito di delineare il grave quadro indiziario, confermato dalla valutazione del giudice.
In particolare, hanno consentito di fornire una plastica dimostrazione della sistematica ricerca del potere economico da parte di “Cosa Nostra”, con particolare riferimento all’acquisizione del controllo del lucroso settore economico della gestione dei giochi e delle scommesse sportive.
Il provvedimento firmato dal gip Walter Turturici fa scattare il sequestro per cinque società che hanno gestito le concessioni: la “Bet for Bet srl” di Palermo (concessione dell’Agenzia Monopoli del 2007), la “Tierre games srl” di Roma (concessione del 2014), la “Gierre games srl” di Bellizzi, provincia Salerno (nel 2015 ha inglobato un’altra società già vincitrice di un bando), la “Gaming managment group srl” di Milano (concessione del 2018), la “Lasa giochi srl” di Palermo (nel 2017 acquisita da Rubino, aveva già una concessione).
Delineare l’esistenza di un gruppo di imprese gravitante intorno alle figure centrali di Francesco Paolo Maniscalco, già condannato per la sua organicità alla famiglia di Palermo Centro, e di Salvatore Rubino che ha messo a disposizione dei clan la propria abilità imprenditoriale al fine di riciclare denaro di origine illecita e, al contempo, di esercitare un concreto potere di gestione e imposizione sulla rete di raccolta delle scommesse.
Ricostruire le metodologie attraverso cui l’organizzazione criminale è riuscita ad “infiltrarsi” nell’economia “legale” attraverso il controllo di imprese – la cui gestione operativa occulta veniva progressivamente demandata a Vincenzo Fiore e Christian Tortora – che detengono, anche a seguito della partecipazione a bandi pubblici, le concessioni statali rilasciate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la raccolta di giochi e scommesse sportive, sviluppando nel tempo una strategia operativa di stampo aziendalistico protesa alla massimizzazione dei profitti.
L’ambizioso “progetto aziendale” mafioso ha beneficiato di finanziamenti provenienti sia dal mandamento di Porta Nuova, ad opera del cassiere pro tempore che ha investito, ottenendone profitto, liquidità destinate anche al sostentamento dei carcerati, sia dal mandamento di Pagliarelli attraverso l’acquisto di quote societarie operato dai fratelli Camilleri, imprenditori collusi vicini al reggente del momento, investimento poi liquidato a causa di dissidi interni, con l’erogazione, in più tranche, di oltre 500.000 euro.
A testimonianza della significatività degli interessi in campo, nel corso delle indagini sono stati monitorati gli esiti di diversi summit mafiosi, cui hanno partecipato anche i massimi vertici del mandamento Pagliarelli, Settimo Mineo e Salvatore Sorrentino, chiamati in causa proprio per dirimere alcuni contrasti relativi alla fase di liquidazione del citato investimento.
A dimostrazione della trasversalità degli interessi economico – finanziari delle varie articolazioni di Cosa nostra palermitana, l’espansione sul territorio della rete di agenzie scommesse e di corner gestiti tramite le imprese sequestrate è stata garantita dall’ombrello protezionistico delle famiglie mafiose con le quali gli indagati si sono costantemente relazionati ottenendo reciproci vantaggi sia in termini affaristici che di rafforzamento della capacità di controllo economico – territoriale.
In particolare, sono state documentate interazioni, oltre che con esponenti di Pagliarelli, con l’apertura di centri scommesse direttamente riconducibili al mafioso Salvatore Sorrentino, e di Porta Nuova per la sistematica restituzione – operata nel tempo attraverso la figura di Giuseppe Rubino – dei profitti connessi agli investimenti nel tempo effettuati, parte dei quali destinati al “sostentamento dei detenuti” nonché al mantenimento di un “vitalizio” per i familiari del boss assassinato Nicolò Ingarao, anche con referenti dei mandamenti: della Noce, di Brancaccio, di Santa Maria del Gesù, di Belmonte Mezzagno, nel cui territorio, ottenuta la necessaria autorizzazione mafiosa, sono stati aperti ulteriori centri scommesse; di San Lorenzo, per l’affidamento di lavori di allestimento delle agenzie del gruppo mafioso indagato ad imprese riconducibili ai vertici di quella consorteria.
Negli anni, grazie alla loro abilità imprenditoriale e ai vantaggi derivanti dalla “vicinanza” ai clan, gli indagati hanno acquisito la disponibilità di un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l’esercizio della raccolta delle scommesse, fino alla creazione di un “impero economico” costituito da imprese – formalmente intestate a prestanomi compiacenti tra i quali Antonino Maniscalco e Girolamo Di Marzo – che complessivamente nel tempo sono giunte a gestire volumi di gioco per circa 100 milioni di euro.
La rilevante capacità economica sviluppata è testimoniata dalle acquisizioni patrimoniali operate negli ultimi mesi, a conferma della concreta minaccia delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico legale, oggi in seria difficoltà a causa delle conseguenze derivanti dall’emergenza epidemiologica connessa alla diffusione del Covid-19.
Infatti, il gruppo imprenditoriale indagato, in quest’ultimo periodo, ha acquistato, nel quartiere Malaspina, senza necessità di contrarre finanziamenti bancari, sia un immobile dichiarato a partire dallo scorso febbraio come ufficio amministrativo di una delle società del gruppo che il 15 maggio scorso un’ulteriore agenzia scommesse, entrambi oggetto del provvedimento di sequestro eseguito.
L’odierna attività conferma il perdurante impegno della Guardia di Finanza, sotto la direzione della locale Direzione Distrettuale Antimafia, per individuare i segnali di inquinamento dell’economia da parte delle consorterie criminali mafiose, contrastando ogni forma di possibile arricchimento connesso alla disponibilità e all’investimento di capitali di provenienza illecita e allo sfruttamento della contingenza emergenziale quale volano per l’infiltrazione della mafia nel tessuto produttivo nazionale.
Commenta con Facebook