La corte d’appello di Palermo ha confermato le condanne emesse in primo grado a carico dei boss mafiosi del clan palermitano di Porta Nuova Marcello Di Giacomo (8 anni e 8 mesi), Onofrio Lipari detto Tony (12 anni), Stefano Comandè (8 anni), Francesco Zizza (8 anni), Tommaso Lo Presti (12 anni) e Giovanni Di Giacomo (12 anni). Lievi riduzioni di pena per Vittorio Emanuele Lipari, che ha avuto 10 anni contro i 12 e 10 mesi del primo grado, e Nunzio Milano che ne ha avuti 9 contro i 12 del primo grado. Si tratta di mafiosi del clan Porta Nuova. Sette vennero fermati nel 2014 nell’indagine denominata Iago.
A fare scattare l’operazione fu un telegramma dal testo apparentemente banale. “Caro Gianni la salute del bambino tutto
bene. In un unico abbraccio ti siamo vicini”. Autore Marcello Di Giacomo. Destinatario il fratello Giovanni, boss di Porta Nuova
ergastolano. I carabinieri, che da mesi intercettavano e tenevano sotto controllo le conversazioni intuirono che dietro le informazioni sulla salute di un presunto bambino, stava per scatenarsi una guerra di mafia.
Tra i fermati anche le potenziali vittime dello scontro: i Lipari a cui i carabinieri, con il fermo, salvarono la vita. Ritenuti responsabili dell’omicidio di Giuseppe Di Giacomo, fratello di Marcello e Giovanni, erano finiti nel mirino del
clan che li aveva condannati a morte.
L’inchiesta, che non a caso gli investigatori, evocando la storica figura shakespeariana, hanno chiamato col nome del traditore Iago, nasce da una serie di intercettazioni in carcere. Da una cella di Parma Giovanni Di Giacomo, padrino carismatico di Porta Nuova, seguiva passo passo l’ascesa del fratello Giuseppe alla guida di uno dei clan più ricchi di Palermo. A designarlo a capo della cosca era stato lui stesso.
Mesi di dialoghi diedero a magistrati e carabinieri il quadro dei nuovi assetti di potere del mandamento ai cui vertici erano
tornati, dopo la scarcerazione, Vittorio Emanuele Lipari, ritenuto dai Di Giacomo amico fidato, e Nunzio Milano. Ma
nonostante i consigli e gli avvertimenti di Di Giacomo, preoccupato che la leadership del fratello fosse messa in discussione dai capimafia tornati liberi, qualcosa non andò per il verso giusto. Giuseppe Di Giacomo non riuscì a spuntarla e fu assassinato mentre tornava a casa insieme al figlio scampato all’agguato. Ne seguì un’istruttoria serrata disposta dalla cella dal vecchio boss che, grazie alle “indagini” svolte dall’altro fratello Marcello e dallo storico boss Tommaso Lo Presti, ha individuato chi avrebbe commissionato l’omicidio del fratello. La colpa del delitto ricadde su Vittorio Emanuele Lipari. E nel piano per acquisire il comando del mandamento si sarebbe fatto aiutare dal figlio Onofrio.
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