Cinque anni di carcere da scontare al termine di un’altra condanna già in corso di applicazione. Il gup di Palermo li ha inflitti, con il rito abbreviato, al presunto boss Giuseppe Guttadauro, detto il “dottore” perché medico all’ospedale Civico di Palermo. Altri otto anni, invece, è la condanna comminata al figlio. Per entrambi l’accusa era di associazione mafiosa.
L’inchiesta è un prosieguo di quella sulla talpe alla Dda, la stessa nella quale fu coinvolto anche l’allora governatore salvatore Cuffaro che ha scontato la sua condanna venendo, poi, riabilitato. ù
“Ti devi evolvere, hai capito? Il problema è rimanere con quella testa, ma l’evoluzione…”: così, non sapendo di essere intercettato, il boss Giuseppe Guttadauro, detto il “dottore” perché medico all’ospedale Civico, dava lezioni di “mafia” al figlio Mario Carlo.
Le conversazioni dei due emersero nel corso di una indagine del 2022 della Procura che portò all’arresto di entrambi. L’inchiesta svelò gli affari del capomafia che, scarcerato nel 2012 e trasferitosi a Roma, non aveva mai reciso i suoi legami con Cosa nostra e continuava a fare affari illeciti. Ora il gup di Palermo l’ha condannato in abbreviato a 5 anni in continuazione con una precedente condanna, mentre 8 anni sono stati inflitti al figlio. Entrambi, difesi dall’avvocato Raffaele Bonsignore, erano accusati di associazione mafiosa.
Già nel 2001 Guttadauro venne coinvolto nell’indagine, denominata “talpe alla Dda”. L’inchiesta rivelò, proprio partendo dagli accertamenti sul medico, una rete di informatori che davano notizie riservate su indagini in corso tra l’altro all’imprenditore mafioso Michele Aiello e allo stesso Guttadauro. Emerse anche il nome del presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, oggi riabilitato dopo aver scontato la sua condanna.
Dopo l’ultimo arresto gli furono concessi i domiciliari per motivi di salute che gli vennero poi sostituiti con il carcere per le ripetute violazioni commesse. “Un uomo totalmente incapace di rispettare le prescrizioni imposte da misure giudiziarie diverse dal carcere perché permeato dal bisogno di continuare indisturbato le comunicazioni con diversi soggetti del proprio ampio circuito relazionale. Una personalità che ricerca spasmodicamente canali relazionali e comunicativi attraverso i quali alimentare il proprio status” di appartenente a Cosa nostra, scrisse il gip che lo fece tornare in cella.