• Beni confiscati, l’Università di Palermo difende i corsi di alta formazione per gli amministratori giudiziari
  • Le critiche alla relazione presentata dalla commissione regionale Antimafia
  • Un imprenditore, in audizione, avrebbe riferito che i corsi si tenevano “in due giorni”

In una nota il rettore dell’Università di Palermo Fabrizio Micari, il professor Alessandro Bellavista, direttore del Dipartimento di scienze politiche e il professor Aldo Schiavello, direttore del Dipartimento di giurisprudenza, criticano duramente la relazione sulla gestione dei beni confiscati presentata dall’Antimafia regionale presieduta da Claudio Fava. E difendono i corsi di Alta formazione per amministratori giudiziari organizzati dall’Ateneo.

La difesa dei corsi di alta formazione per amministratori giudiziari organizzati da Unipa

“Apprendiamo- scrivono- che, nella relazione conclusiva dell’inchiesta sui beni sequestrati e confiscati in Sicilia, approvata dalla Commissione parlamentare regionale sul fenomeno della mafia si trascrivono le dichiarazioni di un tal Cavallotti, qualificato come ‘imprenditore’, rese in audizione, secondo cui ‘si facevano corsi di alta formazione…si davano attestati alle persone che partecipavano, quindi, in due giorni si pensa di insegnare agli avvocati e ai commercialisti come si amministrano aziende… chi teneva questi corsi? I giudici, gli amministratori, i prefetti…ma che competenze manageriali possono avere questi soggetti?'”.

Le “allusioni  sulla consolidata esperienza formativa”

“Si tratta – si legge nella nota – di un’evidente allusione alla consolidata esperienza formativa condotta dall’Università di Palermo grazie all’impegno del Dipartimento di Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali (Dems) e la collaborazione dei giuristi del Dipartimento di Giurisprudenza”. “Avviati nel 2010, per iniziativa dell’allora rettore Roberto Lagalla e dell’allora direttore del Dems Giovanni Fiandaca (con l’apporto del procuratore nazionale antimafia dell’epoca, Pietro Grasso, e poi del successore Franco Roberti, e del direttore dell’Agenzia nazionale, il Prefetto Mario Morcone), i corsi di Alta formazione per amministratori giudiziari – spiega la nota – sono proseguiti con successo per sei edizioni fino al 2017, con la partecipazione di centinaia di professionisti provenienti da tutta Italia e i migliori esperti del settore come docenti”. “Si è trattato, in particolare, – prosegue – di corsi che duravano almeno 120 ore nell’arco di sei mesi, sempre organizzati in collaborazione con l’Agenzia nazionale e la Procura nazionale antimafia, e le ultime edizioni anche con la neonata Autorità anticorruzione (ANAC) e in particolare con il suo presidente Raffaele Cantone, nonché con il supporto degli ordini professionali degli avvocati e dei commercialisti di Palermo”.

Dichiarazioni considerate “ingiustificate”

“Consideriamo, pertanto, sorprendentemente ingiustificate tali dichiarazioni, contenute in una relazione elaborata da una Commissione che, vista la loro evidente gravità, avrebbe dovuto preventivamente approfondire il tema, attraverso un’interlocuzione e il confronto con gli studiosi che, nell’ambito dell’Università di Palermo, hanno svolto, a vario titolo, un ruolo sia organizzativo sia didattico nei corsi in questione”, scrivono i vertici dell’Ateneo.

L’auspicio di una leale collaborazione

“Corsi che, peraltro, – prosegue la nota – hanno costituito un primo modello di riferimento per analoghe esperienze formative avviate in altre sedi universitarie italiane, a cominciare dall’Università Cattolica di Milano con la quale la nostra Università ha sottoscritto un protocollo d’intesa in virtù del quale sono state realizzate due edizioni a Milano del corso palermitano”. “Al contempo, – concludono i vertici dell’Ateneo – nei prossimi mesi avvieremo un laboratorio di ricerca con i nostri migliori ricercatori per sottoporre ad analisi critica il lavoro fin qui condotto dalla Commissione regionale, anche per offrire un supporto, nel quadro della leale collaborazione tra le istituzioni pubbliche, al Parlamento siciliano che eviti in futuro infortuni come quello qui segnalato”.

La replica di Fava

“Il rettore dell’Università di Palermo, il professor Fabrizio Micari lamenta che nella relazione della Commissione Antimafia dell’Ars sui beni sequestrati e confiscati in Sicilia (duecento pagine, ottantuno audizioni, otto mesi di lavoro: approvata la settimana scorsa all’unanimità) abbia trovato posto la dichiarazione di un imprenditore che – nel contesto di un’audizione durata oltre due ore – lamentava i meccanismi imperfetti di formazione degli amministratori giudiziari, riferendosi anche a corsi di alta formazione poco efficaci. Ora, che l’Università di Palermo si riconosca in quell’incidentale e se ne senta offesa (pensando alle proprie esperienze formative) è cosa comprensibile. Che si senta offesa dalla relazione è cosa piuttosto stravagante”. Lo afferma il presidente della Commissione Antimafia dell’Ars, Claudio Fava.

“In tre anni di attività abbiamo audito, nel corso dei nostri lavori, oltre quattrocento persone e non sempre (anzi: raramente) abbiamo condiviso lo spirito o il merito delle loro affermazioni. Ma abbiamo ritenuto di dover riportare fedelmente ciò che ci veniva testimoniato, perfino quando si trattava di illazioni o denigrazioni verso la Commissione stessa. Censurare un audito (temendo altri possano sentirsi offesi per associazione di idee) è un’idea alquanto originale del rigore e della limpidezza con cui una Commissione parlamentare d’inchiesta è tenuta ad operare”, aggiunge.

“Leggiamo infine, dalla penna del Magnifico Rettore, che l’Università di Palermo intende avviare un laboratorio con i nostri migliori ricercatori per sottoporre ad analisi critica il lavoro fin qui condotto dalla Commissione regionale. Che dire? Ne siamo onorati”, conclude Fava.

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