Secondo quanto sottolineato dagli inquirenti è generale il tentativo della mafia di infiltrarsi nell’economia legale attraverso azioni parassitarie, limitando la concorrenza degli altri imprenditori che non possono competere con ingenti flussi di capitale illecito. Ciò accade soprattutto nei territori con una propensione imprenditoriale più spiccata come nelle zone del Trapanese, Catanese, Palermitano, Ragusano e Siracusano. Pertanto, c’è una mafia che assume caratteristiche imprenditoriali sempre più estese nei diversi settori dell’economia più redditizia: dal settore energetico a quello dei rifiuti, dal turismo a tutte le attività connesse alla gestione del tempo libero. E’ quanto emerge dal report della commissione parlamentare Antimafia che ha presentato la relazione in conferenza stampa a Palazzo dei Normanni.
“Lo Stato e le istituzioni ci sono – ha detto il presidente della commissione, Antonello Cracolici – la società civile però si è fatta più silente. Lo vediamo dal numero in aumento di imprenditori che spontaneamente cercano i clan mafiosi per ‘mettersi a posto’, dall’assenza in alcune province delle associazioni antiracket o da nuove forme di raccolta del pizzo, attraverso forniture o servizi. La nostra azione si concentra su come la società si attrezza per contrastare cosa nostra, per questo stiamo puntando a una sorta di Stati generali dell’antiracket per aumentare la sensibilizzazione. Ma la lotta si fa anche sul piano della reputazione, i boss vanno isolati e deve crescere la consapevolezza che comprare droga significa finanziare la mafia”. Dal report della commissione emerge poi una sempre più diffusa circolazione di armi, specialmente nell’Agrigentino e nel Siracusano, criticità legate al tema degli appalti, dove non serve più la connivenza tra politici e funzionari, ma è sufficiente la disattenzione di chi dovrebbe vigilare o una certa confusione normativa, come nel caso dei subappalti, e un’insicurezza diffusa nei territori urbani, lamentata dai sindaci dei 391 comuni siciliani che hanno potuto avere con questa commissione un momento di interlocuzione nel corso della mappatura.
“La commissione Antimafia chiederà al governo regionale – ha aggiunto Cracolici – così come fatto con una risoluzione urgente per i comuni della ‘fascia trasformata’ di estendere a tutti i territori, in particolare a quelli in dissesto economico, le tecnologie utili a tutela della sicurezza e della legalità”. Altro tema strategico nella lotta alle mafie è il riutilizzo dei beni confiscati il cui riuso sociale “deve essere rilanciato la Regione può, attraverso l’Irfis, dare un concreto supporto alle aziende confiscate, garantendo un accesso al credito agevolato. Su questo fronte si gioca il prestigio dello Stato”.
Per quanto riguarda il tema degli appalti e l’affidamento di servizi pubblici è emerso come spesso non serva neanche la connivenza di politici e funzionari, ma è sufficiente la disattenzione di chi dovrebbe vigilare, o una certa confusione normativa, come nel caso dei subappalti, dove sempre più preoccupante appare la caratteristica di servizi affidati a imprese costituite per svolgere singole attività senza che le stesse abbiano una storia imprenditoriale a garanzia della qualità dei lavori e della realizzazione degli stessi. Con grande allarme è stato segnalato, soprattutto in alcune province, come nell’Agrigentino e nel Siracusano – ma praticamente in tutta la Sicilia – vi sia una diffusa circolazione di armi, utilizzate come status symbol da ampie fasce della popolazione, cosa che ha favorito il compimento di omicidi, anche plurimi. Un altro tema spesso denunciato dai primi cittadini – nel dettaglio sono stati 302 gli amministratori locali incontrati dall’Antimafia – è quello legato alla sicurezza urbana e alla tutela dell’ordine pubblico, messo a dura prova dalla carenza cronica di personale qualificato e di agenti municipali e dall’assenza di sistemi di video-sorveglianza che richiedono costi di installazione e manutenzione fuori dalla portata delle casse dei comuni siciliani. Su questo la commissione chiederà al governo regionale, così come fatto con una risoluzione urgente per i comuni della “fascia trasformata” di estendere a tutti i territori, in particolare a quelli in dissesto economico, le tecnologie utili a tutela della sicurezza e della legalità.
Cosa nostra esercita il suo controllo nel territorio attraverso zone di influenza tramite clan che assumono il comando di intere zone o quartieri. Questo modello, seppur con elementi di differenza tra le singole province, è una caratteristica di tutto il territorio siciliano. A ciò si aggiunge la compresenza, in alcune province, oltre che dei clan legati a Cosa nostra, della Stidda, con un controllo pressoché totale di tutta la Sicilia.
Ma a differenza degli anni ’80 e ’90 a caratterizzare le nuove forme di criminalità è una diffusa ‘pax mafiosa’ con un basso livello di conflittualità interna. E’ quanto emerge dal report della commissione regionale Antimafia che ha effettuato una mappatura dopo le audizioni nelle nove province siciliane. A caratterizzare il tessuto connettivo della criminalità organizzata è il traffico di stupefacenti, con ingenti risorse immesse anche nel sistema legale e un controllo sociale che segue le logiche di spartizione delle piazze di spaccio: mentre l’organizzazione mafiosa controlla l’approvvigionamento delle grandi quantità, il mercato della trasformazione degli stupefacenti è affidato il più delle volte a gruppi familiari che, pur non essendo parte delle stesse organizzazioni mafiose, gestiscono la distribuzione al dettaglio.
Attorno a questo tema gravitano molte delle emergenze segnalate dai sindaci ascoltati dalla commissione. Lo spaccio è spesso l’unica vera fonte di reddito per interi quartieri segnati dal degrado. Numerosi sono gli episodi di violenza e criminalità registrati sia per la ripartizione delle piazze che per i reati commessi da chi consuma droga, con conseguente aumento di fenomeni come baby gang ed episodi di prostituzione anche minorile.
Una mafia capace di infiltrarsi sempre più nell’economia legale e in grado di stringere alleanze per competere con le organizzazioni criminali straniere, complice un calo generale della tensione antimafia nell’opinione pubblica e una scarsa incidenza delle associazioni anti-racket che ha permesso negli ultimi anni nuove forme di raccolta del pizzo. Ė uno dei tratti salienti emersi dalla prima mappatura della commissione regionale Antimafia in Sicilia, presieduta da Antonello Cracolici, che ha ricostruito lo stato attuale di Cosa nostra.
Sentiti 302 amministratori locali dei 391 comuni dell’Isola. La relazione è stata presentata in conferenza stampa a Palazzo dei Normanni dai commissari dell’Antimafia. Quasi tremila i chilometri percorsi dalla commissione per i nove incontri svolti nelle sedi prefettizie dell’Isola, eccezion fatta per i comuni di Favara, Acate e Castelvetrano, scelti per un peculiare tratto criminale, o, come nel caso di Castelvetrano, perché all’indomani della cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro. Nel corso dei nove incontri con i prefetti sono stati sentiti dalla commissione antimafia: 19 procuratori capo, 4 procuratori antimafia, i questori, i comandanti provinciali della guardia di finanza e dei carabinieri, nonché i vertici delle direzioni investigative antimafia delle singole province. E’ emersa una recrudescenza del fenomeno estorsivo, sia connessa a una minore capacità del sistema imprenditoriale siciliano di reagire, sia in termini di denunce che in termini di reazione, con numerosi casi in cui, al contrario, è l’imprenditore o il commerciante a cercare, di sua sponte, la protezione dei clan per la cosiddetta “messa a posto”. A questo dato si affianca un preoccupante sfilacciamento del tessuto sociale che, invece, sull’onda emotiva successiva alle stragi di mafia, si era schierato contro lo strapotere delle mafie. Una caduta della tensione che si è tradotta in un sentimento di indifferenza che ha determinato l’assenza di associazioni antiracket in alcune province siciliane o la loro cancellazione per inattività, riducendo la loro funzione, in alcuni casi, alla mera assistenza legale della vittima di estorsione senza che ciò si traduca in una attività di prevenzione e sensibilizzazione contro il racket. Sono 30, in tutto, le associazioni antiracket registrate nell’Isola, 31 se si considera quella in attesa di iscrizione a Ragusa, dove, nel 2021, ben tre associazioni sono state cancellate per inattività. Nella provincia di Agrigento, invece, non risulta alcuna associazione iscritta all’albo prefettizio.
La gestione dei beni sottratti alla mafia ha creato delle criticità che hanno costretto molti Comuni dell’Isola a fronteggiare diverse emergenze: il mancato sgombero di immobili confiscati o la loro occupazione abusiva attraverso l’intimidazione, le condizioni fatiscenti dei beni assegnati, o la scelta di amministratori giudiziari non competenti in un determinato ramo dell’azienda sequestrata che hanno portato a criticità tali da far emergere l’opportunità per i comuni di costituirsi in consorzi per la gestione degli stessi beni. Per la commissione parlamentare Antimafia è “un’ipotesi che permetterebbe anche di allentare eventuali pressioni ambientali del singolo amministratore locale, specie nelle piccole realtà che spesso si prestano ad essere facile bersaglio del condizionamento e della pressione mafiosa”. “Nello specifico, per quanto riguarda le imprese confiscate – si legge nella relazione dell’Antimafia a conclusione di una serie di audizioni nelle nove province dell’isola – le audizioni restituiscono uno spaccato drammatico di estrema difficoltà del sistema a rialzarsi e rientrare nel circuito legale: oltre il 90% delle aziende confiscate viene messo in liquidazione. La commissione su questo ritiene che la Regione possa e debba dare un concreto supporto, garantendo un accesso al credito agevolato attraverso l’Irfis che dia una prospettiva di riscatto sociale ai lavoratori impiegati che credono in un’economia sana”.
“Il racket si è trasformato nel pagamento generalizzato di piccole somme che, a fronte di minori entrate, hanno garantito una certa acquiescenza da parte degli operatori economici tradottasi in una collaborazione quasi spontanea degli estorti. Nuove forme di raccolta del pizzo anche attraverso le forniture e i servizi, con gli stessi estortori che emettono fattura per le loro attività nei confronti degli estorti”. E’ quanto emerge dalla relazione della commissione regionale Antimafia che ha presentato il report realizzato a conclusione delle audizioni nelle nove province siciliane.