In origine erano due, e se ne parla sin dal 1500. Ospiti al castello Maniace di Ortigia, furono regalati nel 1448 da re Alfonso V di Aragona a Giovanni Ventimiglia, marchese di Geraci, come ricompensa per aver soffocato la rivolta siracusana. Il marchese li portò nel suo castello a Castelbuono. Confiscati dal vicerè Gaspare de Spes, furono trasportati allo Steri, poi al Castello a Mare, dove li vide il Falzello, li disegnò Houel e li descrisse Goethe. Durante i moti del 1848, una delle due statue fu colpita da una cannonata. “Ariete”, dunque, ne resta uno solo, bellissimo e raro, e da mercoledì (6 luglio) sarà di nuovo visitabile al Museo Salinas di Palermo.
Il Museo archeologico “Antonino Salinas” di Palermo, nell’ambito dell’iniziativa curata dal Museo Civico di Castelbuono, rialleste il prezioso “ariete in bronzo da Siracusa”. Da mercoledì prossimo (6 luglio), dopo cinque anni di riposo, la splendida scultura – donata nel 1448 dal re Alfonso d’Aragona ai Ventimiglia che lo conservavano un tempo a Castelbuono, con un esemplare gemello, distrutto durante i moti del 1848 – ritorna in mostra.
Per l’occasione, alle 18, Mimmo Cuticchio presenterà un “cunto” affascinante che prende spunto dalla storia di Giovanni Ventimiglia e dell’ariete. “Un’operazione – affermano Francesca Spatafora, direttore del Museo Salinas, e Laura Barreca, direttore del Museo Civico di Castelbuono – di costruzione di una rete territoriale tra istituzioni culturali siciliane attraverso gli alti valori della storia e dei suoi simboli. Il fatto che avvenga utilizzando un linguaggio multidisciplinare e contemporaneo come quello dell’Opera dei Pupi, sottolinea la straordinaria potenza evocativa che le opere della classicità mediterranea hanno lasciato in Sicilia”.
In occasione del riallestimento sarà proiettata l’opera video dello spettacolo “Tra i sentieri dei Ventimiglia”, realizzato da Costanza Arena e Roberto Salvaggio, allievi dell’Accademia di Belle Arti di Palermo (corso di audio video di Marco Battaglia).
L’evento fa parte del progetto “Tra i sentieri dei Ventimiglia”, che ha racchiuso sia lo spettacolo teatrale di Mimmo Cuticchio, presentato a Castelbuono lo 16 aprile scorso, che la mostra, a cura di Laura Barreca e Valentina Bruschi, degli apparati scenici, i pupi originali e le scenografie realizzate dai Figli d’Arte Cuticchio, all’interno di un’installazione curata da Pietro Airoldi al Museo civico di Castelbuono, dove sarà visitabile ancora fino al 17 luglio. Le musiche originali di Giacomo Cuticchio sono state composte per lo spettacolo e per il video, e sono ispirate alla poesia scritta da Torquato Tasso per Giovanni III Ventimiglia nel 1590. Dramaturg della scrittura teatrale è Piero Longo.
L’Ariete del Museo Salinas è una delle rare grandi sculture in bronzo dell’antichità che raffigurano animali, conservate fino ai nostri giorni. Le vicende legate all’opera sono molto complicate e oscura resta la sua prima destinazione. Le fonti più antiche, che risalgono al 1500, confermano l’esistenza di un’originaria coppia di arieti. Queste testimonianze storiche e quelle subito successive informano che le statue erano poste su due mensole, tuttora esistenti, ai lati del portale del Castello Maniace di Ortigia, costruito da Federico II di Svevia.
Nel 1448 i due arieti vennero regalati da re Alfonso V di Aragona a Giovanni Ventimiglia, marchese di Geraci, come ricompensa per aver soffocato la rivolta siracusana. Il marchese li portò nel suo castello a Castelbuono. Alla sua morte, il figlio Antonio li pose a decorare la tomba paterna, ma pochi anni dopo, per ordine del Vicerè Gaspare de Spes, le due statue, insieme a tutti i beni dei marchesi, vennero confiscate ad Enrico, nipote di Giovanni, accusato di tradimento e trasportate a Palermo nella sede dei Vicerè, a Palazzo Chiaramonte, dove furono collocate intorno al 1510-1511. Nel 1517, tuttavia, le sculture furono trasferite al Castello a Mare, divenuto nel frattempo sede regia, dove erano collocate all’epoca di Fazello.
Alcuni decenni più tardi, quando la sede regia si trasferì al Palazzo Reale, le due sculture furono lì trasferite e poste ad adornare una delle sale più belle del Palazzo che, proprio per la presenza dei due arieti, venne chiamata “Camera de los Carneros” o “Stanza delli Crasti”.Vennero successivamente confiscati, incamerati nell’erario regio e quindi trasportati a Palermo, prima allo Steri, poi al Castello a Mare, dove li vide il Fazello. Nel 1735, sotto Carlo III, furono portati a Napoli, ma, subito dopo, ritrasferiti a Palermo, a Palazzo Reale. Qui la loro presenza è testimoniata da Houel che li raffigurò in un disegno del suo “Voyage pittoresque…” e da Goethe che li descrive in una sua lettera. Dallo storico Michele Amari sappiamo che nel corso dei moti insurrezionali del 1848 una delle due sculture fu colpita da una cannonata. La statua superstite fu danneggiata e in seguito restaurata. Nel 1866, per volere di re Vittorio Emanuele II, fu donata al “Real Museo Archeologico” di Palermo, poi Salinas, dove si trova da allora.
L’animale è raffigurato accovacciato. La testa è ruotata completamente a sinistra, con i grandi occhi spalancati. Le narici dilatate e le orecchie tese sopra le corna a spirale. Nella bocca semiaperta si vedono i denti dell’arcata inferiore. La fronte e la porzione sottostante alle corna sono ricoperte da fitti riccioli. La zampa posteriore destra dell’ariete non è visibile; delle due anteriori, la destra è ripiegata su se stessa, la sinistra è portata in avanti, con lo zoccolo ben aderente alla base. Sullo zoccolo anteriore sinistro, dopo la pulitura effettuata nel corso del recente restauro, sono risultati chiaramente visibili alcuni segni incisi e cioè una lettera D tagliata a metà, seguita da due stanghette verticali, che possono essere interpretati come un numerale. La D tagliata a metà da un tratto orizzontale è usata frequentemente in età imperiale romana per indicare 500. La statua appare piuttosto isolata nel panorama artistico del mondo greco-romano. Rare sono infatti le rappresentazioni di singoli animali di così grandi dimensioni; rarissime poi quelle in bronzo che si sono conservate. Mancano quindi i confronti con pezzi analoghi, mentre sono numerose le raffigurazioni di ariete nella piccola plastica in terracotta o in bronzo, raramente però in posizione accovacciata. L’opera è stata eseguita con il metodo della fusione a cera persa, effettuata in parti separate poi saldate al corpo. Per i caratteri stilistici l’ariete è stato datato tra gli inizi e la metà del III secolo a.C. ma recentemente si è proposta una datazione più bassa al II sec. d.C.