Contrasto alla violenza contro le donne, non slogan ma azione che si declina nell’azione concreta di chi ogni giorno si trova a fronteggiare un fenomeno trasversale, che non esclude classi e contesti sociali ma che prende diverse forme rispetto all ‘humus’ in cui si sviluppa. Complici molto spesso comuni indifferenza e cattiva o scarsa informazione.
Questa è l’immagine che viene fuori parlando con associazioni del terzo settore che lavorano costantemente in prima fila da anni e ogni giorno su questo fronte. Con loro Blogsicilia ha voluto dialogare, oggi nella giornata del contrasto e dell’eliminazione di ogni forma di violenza sulle donne.
Un dialogo per sensibilizzare e far conoscere il problema, fuori da ogni retorica, legata alla giornata.
Ed è quello che fa raccontando la sua esperienza Maria Grazia Patronaggio presidente del centro antiviolenza Le Onde che a Palermo opera da anni.
Un lavoro, quello svolto dalla onlus, che ha due canali lo sportello telefonico a cui le donne possono rivolgersi e da qui, a secondo dei casi, sviluppare un particolare percorso e poi le case rifugio protette ad indirizzo segreto per ospitare tutte quelle donne che per mettere fine a quel vissuto violento devono uscire dal contesto, in molti casi familiare, in cui si è sviluppato.
“Noi in media ogni anno abbiamo 500 contatti – spiega la Patronaggio -, di questi alcuni vengono seguiti attraverso percorso telefonico o altrimenti de visu. Nei casi necessari si delinea l’accoglienza nelle case rifugio.
In quest’ultimo – prosegue – dal 23 gennaio al 22 novembre abbiamo già ricevuto 470 contatti con uno sportello di ascolto telefonico da lunedì al sabato, di questi 21 sono stati seguiti con percorso emergenza grazie ad una convenzione che abbiamo con il Buon Pastore, villa Anna. Numeri allarmanti, preoccupanti”.
Ma qual è il profilo ‘tipo’ della donna che si rivolge ad un centro antiviolenza: “Si tratta di donne di 35-40 anni – sottolinea la presidente del centro Le Onde -, le ragazze più giovani sono più consapevoli oggi e riescono a comprendere quando un rapporto nasconde forme di violenza e riescono ad interromperlo prima che diventi qualcosa altro. Ma guardiamo invece agli autori delle violenze, bisogna eliminare ogni pregiudizio: li possiamo trovare in qualsiasi contesto sociale: sono dirigenti, professionisti, appartenenti alle forze dell’ordine, operai etc…”.
Ma da quella violenza bisogna uscire, Le Onde lavora proprio su questo come piace ripetere alla sua responsabile: “Noi accompagniamo la donna in un percorso di uscita da un problema che è legato ad un momento, per farlo oltre al sostegno psicologico e alla rete a cui ci appoggiamo per sostenere la donna, è necessario rendere quella donna libera autonoma anche da punto di vista economico, trovandole un lavoro se non lo ha”.
Un progetto che vede circa una ventina di operatori che necessita di quelle risorse che stentano molto spesso ad arrivare mettendo in alcuni momenti a rischio la stessa attività di questi centri. “Purtroppo è questa la realtà con cui ci scontriamo, un centro antiviolenza dovrebbe essere una priorità è molto spesso non lo è. Noi per non chiudere o interrompere le nostre attività capita di esporci economicamente in prima persona per non lasciare queste donne sole”.
Ma la violenza sulle donne si può declinare anche nello sfruttamento, in una tratta, basti pensare a quello delle donne nigeriane, oggi sempre di più ragazzine minorenni portate dai loro paesi in Italia e da qui destinate alla prostituzione per riscattare il loro debito contratto con l’organizzazione che li ha portati nel nostro Paese.
Un fenomeno presente qui a Palermo, come ci racconta Nino Rocca coordinatore dell’associazione Donne di Benin City. “Il cuore di questo fenomeno in città – spiega – è nel centro storico, a Ballarò. Negli ultimi mesi la nostra associazione è riuscita ad avvicinare a stringere contatti con ben 18 ragazzine che è numero grandissimo. Si tratta di una vera e propria mafia nigeriana, la Black Axe che scende a patti con la mafia locale che riconosce a loro la gestione della prostituzione in cambio di accordi per esempio sul mercato dello spaccio della droga. Parliamo di 500 ragazze soltanto a Palermo. Molto spesso le ragazzine vengono fatte prostituire per strada o in delle case chiuse. Il punto di avvicinamento per le volontarie dell’associazione? Quando le ragazzine dopo essere sbarcate a Palermo o a Lampedusa vengono portate nelle comunità per minori, loro sanno che da questi luoghi devono scappare così sono state istruite già prima di partire per poi essere di nuovo prese sotto il controllo dell’organizzazione. Ecco la comunità per minori è il luogo ideale dove avvicinarle -sottolinea -. Le donne di Benin City hanno l’approccio migliore sia perchè parlano la loro lingua ma sopratutto perchè conoscono il fenomeno perchè da lì vengono. Questo è l’unico modo che le può riscattare, solo così si può conquistare la loro fiducia”.
Ma violenza è anche nel posto di lavoro, basti pensare all’ultimo episodio di cronaca con protagonista un medico di guardia a Trecastagni, nel Catanese.
Da qui è venuto a galla ed attenzionato il problema della sicurezza nelle guardie mediche in particolar modo per le donne. Proprio su questo parla Rosalba Muratori, presidente regionale del Sindacato Medici Italiani e presente nel direttivo Donne Medico. “Il problema non è percepito come dovrebbe esserlo – dice a Blogsicilia -. Cosa si può fare per mutare questa situazione? Semplicemente applicare le norme che esistono e far in modo che tutti i presidi abbiano quei requisiti di sicurezza richiesti, basterebbe questo. Qui non si parla di cambiamenti radicali ma di applicazione delle leggi esistenti, nessuno vuole chiudere presidi ma semplicemnte applicare leggi esistenti per il bene di tutti”.
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