Anche il cielo di Palermo piange la scomparsa di Vincenzo Agostino, l’uomo a cui la mafia strappò barbaramente il figlio Nino, la nuora Ida Castelluccio e il bimbo in grembo, una famiglia che era prossima a formarsi. In migliaia hanno voluto porgere l’ultimo saluto all’uomo “dalla lunga barba” che lottò per buona parte della sua esistenza contro la mafia in cerca di verità e giustizia. Non ha fatto in tempo ad attendere la fine del processo, quello con rito ordinario, per concludere la sua ricerca tra menzogne e punti oscuri. Turisti, cittadini, uomini rappresentanti di istituzioni insieme per onorare l’uomo simbolo della testimonianza antimafia.
“Era una grande persona e la sua barba testimoniava il suo bisogno di verità e giustizia – ha dichiarato un cittadino, Gaspare Nuccio – era la testimonianza vivente che in questo stato ci sono troppe ombre e troppi silenzi”.
Fuori dalla cattedrale di Palermo c’erano diverse associazioni che non striscioni hanno chiesto verità e giustizia e la caccia ai pupari che hanno cercato di insabbiare le verità sui delitti eccellenti compiuti dalla mafia. “Abbiamo seguito la famiglia Agostino in tutte le udienze del processo che si sono svolte fin qui e continueremo a farlo – dice Giorgio Pace della facoltà di giurisprudenza- E stato un senso del dovere essere qui e ribadire la nostra vicinanza alla famiglia Agostino in modo più forte. L’assenza di Vincenzo non incrinerà di un millimetro la nostra posizione per chiedere verità e giustizia tanto contro la mafia e quelle parti dello Stato che hanno contribuito insabbiare la verità fino ad oggi”.
La ricerca dei mandanti esterni proseguirà. “Vincenzo ci ha sempre parlato dei pupari che sono i mandanti esterni del delitto del figlio e della nuora – dice Jamil El Sadi dell’associazione Our Voice – Ci teneva a dire che non era solo mafia e c’era parte dello Stato che ha depistato le indagini immediatamente dopo che i due corpi erano ancora caldi.
E’ una vergogna che lo Stato non abbia ancora sanato questo debito con la famiglia Agostino e una grandissima delusione che Vincenzo non sia riuscito a tagliarsi i capelli e la barba per quel giuramento fatto 35 anni fa sulle bare di Nino e Ida. A noi ragazzi e a suo nipote il compito di portare avanti questa battaglia e cercare i pupari i mandanti esterni di questo efferato delitto”.
In tanti ricordano le sue parole, incisive, forti e desiderose di verità ma anche le sue azioni: “Noi l’abbiamo sempre seguito per tutto ciò che si è dimostrato – ha dichiarato Maria Dieli, una cittadina – è stato un uomo di esempio per tutti”.
“Vincenzo Agostino è stato da trentacinque anni – insieme alla sua amatissima moglie Augusta Schiera –, da quel tormentoso 5 agosto 1989, una vedetta, una sentinella, un vegliardo. Nonostante il buio della notte, allorché nel suo spirito poteva scendere una schiacciante angoscia, è diventato una fonte di incrollabile speranza per noi tutti, per questa nostra terra martoriata e per l’intero Paese; e particolarmente per i suoi cari e per noi che oggi lo salutiamo con il cuore spezzato ma con immensa ammirazione e con uno speciale debito di riconoscenza”.
E’ quanto ha detto l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice nel corso dell’omelia durante la celebrazione dei funerali di Vicenzo Agostino, padre del figlio Nino poliziotto ucciso dalla mafia a Villagrazia di Carini insieme alla moglie Ida Castellucci e figlio che la moglie portava in grembo.
“La lunga barba bianca di Vincenzo Agostino ha rappresentato per noi il segno della resistenza attiva e proficua alla mafia e alle tante forme del ‘male strutturato” che ardiscono eliminare finanche – come lui stesso ebbe a dire – il “bene di un figlio, di una nuora, di un bambino mai conosciuto”; che sterminano Nino, un onesto e accorto servitore dello Stato, la sua giovane moglie Ida e il bambino che avevano concepito da pochi mesi; insanguina le strade della città, sparge afflizione nelle case e nelle famiglie, pianifica depistaggi, compra silenzi e connivenze anche tra esponenti del potere politico e delle istituzioni dello Stato – ha aggiunto l’arcivescovo Lorefice – Ma quella barba è stata anche narrazione del suo vegliare nella notte, dell’uomo che con gli occhi penetra l’oscurità e attende con certezza l’irrompere della luce della verità che l’orgoglio e la tracotanza di uomini corrotti e alla ricerca di potere credono di sopraffare.
Conclude Lorefice: “Ha infuso speranza. Ha chiesto di non assopirci. Ci ha provocati a non cadere nell’indifferenza deresponsabilizzante e a non abituarci al male. Quella barba è quei capelli bianchi che esaltavano i suoi occhi pieni di luce nonostante le tenebre, sono stati per noi monito a rinnovarci, a rimanere desti, a porre domande: “se volete domandare, domandate, convertitevi, venite”.