I produttori parlano di «concorrenza sleale». Gli importatori ne fanno invece una questione di qualità del
prodotto, rimandando alle sue caratteristiche chimiche.
In mezzo ci sono 19 milioni di chili di grano canadese che attualmente aspettano il via libera per essere utilizzati: sono arrivati la settimana scorsa al porto di Pozzallo, e da allora attendono che si concludano le analisi.
La politica, intanto, li ha già condannati: la grillina Elena Pagana ha diffuso un video in cui — parafrasando le polemiche sui migranti e sulla chiusura dei porti sostenuta dal suo stesso governo — evoca la possibilità che il cereale contenga glifosato e definisce quelli di Pozzallo «gli sbarchi di cui dovremmo avere paura», mentre l’assessore
all’Agricoltura Edy Bandiera invita a «verificare la presenza di parassiti non visibili a occhio nudo, come micotossine o altri residui chimici».
Il fenomeno, del resto, è appena esploso, come racconta l’edizione palermitana di Repubblica Palermo. Nei primi quattro mesi dell’anno, secondo Coldiretti, la quantità di grano importato dal Canada è aumentata di sette volte rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso: «Il balzo delle importazioni — sottolinea l’associazione — arriva proprio al termine della stagione di trebbiatura del grano italiano.
Un lavoro che rischia di essere vanificato dalla concorrenza sleale delle importazioni dall’estero di prodotti che non rispettano le stesse regole di sicurezza alimentare e ambientale vigenti nel nostro Paese».
Il grano in questione — che fa il paio con altre ottomila tonnellate intercettate a febbraio — è diretto a sette mulini siciliani, che però difendono le qualità del cereale importato, che avrebbe caratteristiche migliori per la produzione
di pasta. Il risultato è però un crollo del prezzo del grano siciliano:
«Per pagare un caffè — sottolinea Francesco Ferreri, presidente di Coldiretti Sicilia — un agricoltore deve vendere almeno cinque chili di grano, visto che è quotato circa 20 centesimi al chilo». «Ai mulini siciliani
— osserva però Bandiera — dobbiamo fare un appello. Bisogna sostenere la produzione dell’Isola, che ha una qualità migliore».
Intanto, però, l’assessorato ha avviato i controlli: in campo uomini del corpo forestale, del servizio fitosanitario,
dell’ispettorato repressione frodi del ministero dell’Agricoltura, dell’Agenzia delle dogane e degli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera che già nelle ultime settimane hanno avviato controlli serrati su tutti i prodotti
agroalimentari in arrivo.
«Il ritmo — scandiscono dalla Regione — è di dieci controlli al giorno». Quello che descrivono all’assessorato è infatti
il bollettino di un assedio: «Nell’Isola — scandisce il dirigente generale del dipartimento Agricoltura Dario Cartabellotta — arrivano agrumi, soprattutto dal Sudafrica e dal Sudamerica, con il rischio di importare parassiti, ma poi anche carciofi dall’Egitto, patate, pomodori, pesche e ortaggi come fagiolini e melanzane».
I carichi sospetti sono all’ordine del giorno, visto che nei porti siciliani arrivano in media 40mila tonnellate di prodotti alimentari al mese.
Con effetti devastanti sugli agricoltori: i carciofi egiziani, ad esempio, hanno fatto precipitare il prezzo di quelli locali, con sbalzi eclatanti (l’anno scorso si oscillava fra meno di tre e oltre 13 euro al chilo), mentre gli agrumi cercano di agitare la tracciabilità per sfruttare il brand “Sicilia”. Ci sono anche le ciliegie turche.
Non a caso sono questi i prodotti più spesso sequestrati: l’anno scorso sono finite nel mirino oltre 50 tonnellate di carciofi e oltre 40 tonnellate fra limoni, mandarini e arance. Prodotti che la Sicilia esporta da sempre in tutto il
mondo. E che nel momento di crisi peggiore rischiano di lasciare senza un lavoro migliaia di agricoltori dell’Isola.
Commenta con Facebook