È un divo la cui fama va ben oltre i confini della lirica. Tra i più celebri cantanti lirici del mondo, il basso-baritono Erwin Schrott debutta nel ruolo di Attila al Teatro Massimo di Palermo nell’opera verdiana in scena da venerdì 19 febbraio (la prima alle 20.30).
Un nuovo allestimento del Teatro Massimo, Attila, in coproduzione con il Teatro Comunale di Bologna e il Teatro La Fenice di Venezia, con la regia di Daniele Abbado e che vede sul podio il grande Daniel Oren. Odabella è Svetla Vassileva; Foresto è Fabio Sartori; Ezio è Simone Piazzola. Scene e luci di Gianni Carluccio, costumi di Gianni Carluccio e Daniela Cernigliaro. Un grande cast per un’opera che manca da Palermo dal 1975 e che fu rappresentata per la prima volta a Venezia il 17 marzo 1846. Domani, giovedì 18 alle 18.30 la prova generale a favore dell’opera di Biagio Conte, il missionario laico che opera a Palermo in aiuto di clochard, migranti, poveri.
Una Venezia, quella della prima rappresentazione, che a quei tempi, sotto il dominio asburgico, è attraversata da fermenti rivoluzionari nell’ambizioso sogno di una patria unita. Attila è un’opera politica, come nello spirito e nella poetica del grande compositore: protagonista il re degli Unni che ha appena devastato Aquileia e che si prepara a saccheggiare Roma.
Eppure è anche opera di sottile introspezione psicologica, dove i personaggi si muovono spinti da considerazioni e passioni personali. A partire da Attila. Un personaggio complesso, straniero, barbaro, ma portatore di valori, sospeso tra il desiderio di gloria e l’amore per la schiava Odabella, figlia del sovrano sconfitto, che alla fine dell’opera scapperà dalla cerimonia nuziale e lo ucciderà con la stessa spada che lui le ha donato. Chiusura travagliata, considerata da alcuni drammaturgicamente imperfetta, frutto del passaggio di mano tra Temistocle Solera (storico collaboratore di Verdi, che firma il libretto) e Francesco Maria Piave che rivide il finale privilegiando i singoli a discapito delle grandi scene corali.
A interpretare il re barbaro, ardito ma umano e quindi vulnerabile, per la prima volta nella sua stellata carriera musicale, c’è Erwin Schrott, il grande basso-baritono uruguaiano considerato come uno dei massimi esponenti dei principali ruoli di Mozart (Don Giovanni, Leporello e Figaro) e acclamato nel teatri di tutto il mondo. Una star assoluta, che – con un disco dedicato al tango – ha anche sperimentato territori lontani dalla lirica. Ha trionfato in teatri come il Teatro alla Scala, il Metropolitan Opera di New York, l’Opéra di Parigi, la Washington National Opera, la Wiener Staatsoper, il Teatro Colón di Buenos Aires, la Royal Opera House Covent Garden, la Los Angeles Opera e molti altri. “Un Attila complesso, inquieto, perfino insicuro e impressionabile – racconta l’artista, – un Attila che finisce per soccombere all’amore. Un Attila che richiede, dal punto di vista musicale, grandi risorse tecniche”.
A firmare la regia è Daniele Abbado, figlio del grande direttore d’orchestra Claudio. Consapevole di affrontare una sfida difficile. “Un’opera politica – dice – nella quale assistiamo a un ribaltamento totale delle categorie consuete. Quello che dovrebbe essere lo straniero, il nemico, il barbaro, è invece l’uomo portatore di pensiero raffinato. Parla di popolo, di giustizia, di Dio, di anima. Mentre Ezio è un generale corrotto che fa un tentativo di ammutinamento, Foresto un debole che fa intrighi, Odabella un personaggio molto interessante, che porta dentro di sé il padre assassinato. Gli italiani sono i profughi che hanno perso tutto, che scappano e pensano alla fondazione di una nuova civiltà. Siamo in anni in cui l’Unità d’Italia è ancora tutta da fare. Fatto sta che l’anno successivo alla prima rappresentazione, ben quindici teatri lo mettono in scena, e il pubblico si infiamma di sentimenti patriottici. Nella mia messa in scena, non ci saranno di certo gli unni con i corni sulla testa che tante volte si sono visti, né ci saranno armi, a parte la spada di Attila che all’inizio dell’opera lui consegna a Odabella. Nell’opera i romani sono militari ‘regolari’, mentre i soldati di Attila sono un po’ terroristi e un po’ mercenari, ma innestati di elementi arcaici. Non un’attualizzazione piatta, ma piuttosto una trasfigurazione, un’invenzione”.
Sul podio del Teatro Massimo il direttore israeliano Daniel Oren, uno dei più grandi direttori d’orchestra del mondo, che iniziò la sua carriera grazie al grande Leonard Bernstein il quale nel 1968 lo scelse, appena tredicenne, come voce solista nei suoi Chichester’s Psalms in occasione dell’inaugurazione della televisione di Israele. “Verdi è il più grande compositore di tutti i tempi e Attila è un capolavoro, un assoluto capolavoro.
A lungo e fino alla fine della prima guerra mondiale, le opere cosiddette ‘giovanili’ di Verdi come questa sono state trascurate, a favore di quelle della piena maturità. Poi è iniziata una riscoperta. Attila parla già di diritti dei popoli, il diritto a una patria, a una casa e alla libertà, tema che da israeliano mi è molto caro. Il linguaggio musicale parla con immediatezza all’anima e al cuore degli spettatori. E la sfida per un direttore è di sfuggire il rischio che l’orchestra suoni come una banda, la sfida è quella di suonare con grande classe, con grande nobiltà, cosa che l’Orchestra del Teatro Massimo fa mirabilmente. Che qualità deve avere un direttore d’orchestra? Deve essere un grande musicista, e deve sapere comunicare all’orchestra quello che ha dentro. La tecnica, il gesto, vengono dopo”.
Oren, ancora in tenera età, fu indirizzato dalla madre a una formazione musicale completa con lo studio non soltanto del pianoforte e violoncello, ma anche di canto, armonia e contrappunto. Ha poi perfezionato i suoi studi in Europa, dedicandosi quasi esclusivamente alla direzione d’orchestra. Nel 1975 ha vinto il prestigioso concorso “Herbert von Karajan” riservato a giovani direttori d’orchestra e punto d’inizio della sua carriera internazionale.
La sua partecipazione con Nabucco alla stagione inaugurale della Nuova Opera di Israele nel dicembre 1994 ha rappresentato un momento particolarmente significativo: questo evento musicale è riuscito a far collimare la sua passione per l’universo operistico e l’amore per la sua terra d’origine. Per un musicista come Oren infatti la musica rappresenta il miglior veicolo per la pace e la tolleranza. Oren è direttore artistico del Teatro Verdi di Salerno, dove dirige molti titoli nel corso della stagione operistica. È inoltre ospite regolare a Parigi, al Royal Opera House Covent Garden di Londra così come a Tel Aviv, Verona, Firenze, Madrid, Colonia e Barcellona.
Attila è la seconda opera della stagione lirica 2016 del Teatro Massimo, opera che arriva dopo il trionfale Götterdämmerung diretto da Graham Vick. Come scrive Angela Fodale nel programma di sala, in Wagner “un dramma individuale si svolge su uno sfondo mitico dalle connotazioni potentemente simboliche; in Verdi un dramma individuale si inserisce in un contesto storico, politico e sociale, che non è mai puramente decorativo, ma determina gli avvenimenti e le scelte dei personaggi”.
Con Attila parte “Bambini all’opera”, il nuovo progetto del Teatro Massimo in collaborazione con l’associazione Libero Gioco, dedicato i piccoli da 5 a 10 anni, il primo in Italia strutturato da una Fondazione lirica per l’intera stagione. Nel turno di domenica 21 (ore 17.30), mentre genitori, nonni o zii assistono allo spettacolo in Sala Grande, i bambini vivranno l’opera in una dimensione di gioco, in uno spazio ludico, tranquillo e protetto. Per i bambini un’esperienza estetica e creativa che li guida nella narrazione della trama e nell’ascolto di alcuni brani dell’opera. L’attività si intitola “Il coraggio di Odabella” ed è giocata sul filo di ciò che fa paura, con particolare riferimento al diverso e allo straniero (Attila) e sulla figura di una donna autonoma e coraggiosa (Odabella). Per informazioni e prenotazioni 329. 7260846 – 349. 3612353.
E domani alle 18, nella Sala Onu del Teatro Massimo, conferenza di presentazione dell’opera, organizzata dall’associazione Amici del Teatro Massimo, a cura di Anna Tedesco, alla presenza del regista Abbado. Ingresso libero fino a esaurimento posti.
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