“La follia è una condizione umana”. Questo, il pensiero di Franco Basaglia, psichiatra saggista, neurologo, ma soprattutto promotore di una nuova concezione della disciplina psichiatrica, grazie al quale il 13 maggio del 1978 il Parlamento italiano approvava in via definitiva la Legge n. 180, ribattezzata con il suo nome. A quarant’anni da questo importante traguardo, nello storico Palazzo Ajutamicristo è stata inaugurata nei giorni scorsi una mostra realizzata dalla Soprintendenza dei Beni Culturali di Palermo e curata da Helga Marsala, dedicata al terribile stato di disagio vissuto da chi veniva rinchiuso nei manicomi perché ritenuto “pazzo”.
Attraverso lo sguardo di fotografi, registi, artisti, l’esposizione conduce lo spettatore in un percorso dal forte impatto emotivo. Frammenti e reperti di vite vissute al margine, recluse in luoghi tanto simili alle prigioni in cui il dolore dell’anima era la testimonianza tangibile di una sofferenza non concessa.
“La legge che mise fine all’esistenza dei manicomi – ha detto Helga Marsala – nasce da una rivoluzione che fu anche e soprattutto politica e filosofica dal momento che provò a ridefinire i concetti di marginalità e differenza, a mutare la percezione che la società aveva dei pazienti e la natura dei luoghi in cui questi venivano confinati”. Tra le opere esposte a Palazzo Ajutamicristo, anche una sezione dedicata alla Real Casa dei Matti, fondata da Pietro Pisani nel 1824, la Vignicella dei Gesuiti e il vicino complesso dell’Ospedale psichiatrico costruito da Francesco Paolo Palazzatto nel 1885.
“E’ rimasto per me sconvolgente e indelebile– ha affermato Lina Bellanca, Soprintendente dei Beni Culturali di Palermo – il ricordo della visita dell’Ospedale di via Pindemonte nell’ambito di un corso universitario, poco prima dell’approvazione della legge Basaglia. La condizione di vita dei ricoverati mi era apparsa inaccettabile”. In quelle disperate lettere degli ospiti della Vignicella, custodite in uno scrittoio dell’epoca, esposte nella mostra, il grido di dolore di uomini e donne la cui unica colpa fu quella di nascere in un’epoca sbagliata e di essere considerati per questo diversi. Una sottoveste, della carta da lettere, un pigiama pulito, ma anche la voglia di essere utili alla società. Erano queste le richieste dei ricoverati mai giunte, però, alle famiglie perché censurate. Tra i documenti storici esposti alla mostra anche diversi filmati come, ad esempio, l’inchiesta di Sergio Zavoli del 1968: i giardini di Abele”, il film sperimentale di Michele Gandini del ’69 : “Gli esclusi” e il lungometraggio: “Matti da slegare” diretto da Bellocchio, Agosti, Petraglia, Rulli nel 1975.
La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 31 marzo, tutti i giorni dalle 9 alle 13.30 e martedi dalle 9 alle 18.30. L’ingresso è libero.
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