Ad una settimana esatta dalla conferenza sulla Libia è legittimo farsi qualche domanda e tentare di trarre un bilancio a ‘freddo’ di un evento bollato da tanti come fallimentare ma che alla fine fallimentare non è stato. La prima domanda che si pone il cittadino comune è: “Perchè Palermo è rimasta bloccata due giorni per far chiacchierare questi quattro signori che in gran parte sembrano anche aver snobbato il vertice?”.
La risposta non è politica e nemmeno mediatica ma economica. Proprio nei giorni del vertice di Palermo la nostra compagnia energetica ha, infatti, firmato due importanti accordi con gli Emirati Arabi Uniti: il paese che rappresenta il maggiore sponsor internazionale del generale Khalifa Haftar, uomo forte di Bengasi, indicato come il capriccioso leader che avrebbe fatto semi fallire la conferenza.
Ma l’Italia in realtà, senza intaccare i rapporti con il governo ufficiale di Tripoli, ha condotto in porto affari che diversamente rischiavano di diventare appannaggio francese anche se i francesi smentiscono che ci sia competizione fra i nostri paesi in quell’area del mondo.
L’Italia ottiene soddisfazione, riferisce l’agenzia di stampa Nova, anche sul fronte di quelle che, per comodità, vengono indicate come “istituzioni economiche”. La Banca centrale e la Compagnia petrolifera nazionale, infatti, dovranno distribuire le risorse equamente tra le varie regioni del paese, ma dovranno restare sotto il controllo centrale. Bengasi, in altre parole, dovrà rinunciare non solo ai sogni di secessione, ma anche allo sfruttamento autonomo delle risorse petrolifere della Cirenaica.
Un risultato che da economico diventa anche politico visto che il documento finale, condiviso da tutti i partecipanti, con la significativa eccezione della Turchia, ricalca il piano delle Nazioni Unite e, quindi, le posizioni che l’Italia ha a lungo difeso. La Francia, che aveva cercato di forzare le tappe, convocando elezioni presidenziali a dicembre, deve inghiottire un amaro boccone. All’inizio del prossimo anno, infatti, sarà convocata a Tripoli una conferenza tesa a disegnare il futuro quadro costituzionale e le leggi necessarie ad eleggere parlamento e presidente. Le elezioni parlamentari dovrebbero tenersi a giugno, mentre per quelle presidenziali si dovrà attendere il 2020.
Per Haftar è un brutto colpo che lo allontana dalla Presidenza Libica verso la quale lo spingeva lo sponsor francese Macron. Per salvare la faccia il generale si rifiuta di partecipare alla sessione plenaria e, intervistato da “Libya al Hadath”, la televisione di Bengasi, afferma: “Ero lì solo per incontrare il primo ministro e dopo di che me ne sono andato immediatamente. Ho visto tutti, ma non ho niente a che fare con loro. Non parteciperei neanche se rimanessi un centinaio di anni. Non ho niente a che fare con questo. La mia partecipazione è limitata ai ministri dell’Europa e dopo i miei incontri partirò immediatamente”.
Ma mentre parla, il generale si trova appunto a Palermo e i suoi rappresentanti partecipano a tutti i tavoli tecnici della conferenza, assieme con i funzionari del premier di Tripoli, Fayez al Sarraj, ed agli inviati del presidente del parlamento di Tobruk e del Consiglio di Stato di Tripoli. Haftar è costretto ad accettare persino la permanenza del rivale Sarraj alla guida del governo riconosciuto dall’Onu, almeno fino alle prossime elezioni parlamentari.
Ma sempre Nova racconta anche della contropartita chiesta da Haftar nel suo gioco delle parti: nel vertice ristretto cui, per volere di Al Sisi, non partecipa la Turchia, il generale chiede di poter guidare le future Forze armate unificate libiche: un riconoscimento che gli italiani sono disposti ad accordargli ma che nessuno, per ora, ha ancora accettato formalmente. La creazione di un comando unico, del resto, non potrà cancellare le milizie delle diverse città-stato, e dovrà piuttosto limitarsi ad inquadrarle sotto un ombrello istituzionale comune, almeno nella prima fase di ricostruzione dello Stato. Una operazione simile a quella che fece, a suo tempo, Gheddafi. Chissà che non sia la strada giusta.