“Dobbiamo chiedere perdono per quanto la Chiesa non ha fatto nel passato nei confronti della mafia. Per quanto la Chiesa sia stata omissiva, per quando abbiamo annunciato ma non praticato valori evangelici a difesa di una terra violentata dalla mafia”.
Così don Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, condanna il silenzio che spesso in passato ha contraddistinto il rapporto tra la Chiesa e la mafia intervenendo alla conferenza promossa dal Centro Studi Pio La Torre sul tema “Il ruolo della Chiesa di Papa Francesco nel contrasto alle mafie, alla corruzione, alla povertà e alle diseguaglianze sociali” e svoltasi al Cinema Rouge et Noir di Palermo nell’ambito del Progetto educativo Antimafia promosso dal Centro. “Se oggi però sono qui a guardare avanti con fiducia ad una Sicilia liberata – continua don Lorefice -, se sono qui a sperare in un futuro di pace, giustizia e dignità è perché negli anni questo atteggiamento della Chiesa è cambiato. Se sono qui lo devo anche alla testimonianza di due preti e di un magistrato. Alla testimonianza di don Pino Puglisi, con il quale ho condiviso alcune esperienze con i giovani. All’esempio di don Peppe Diana, ucciso a 36 anni dalla camorra e di Rosario Livatino, magistrato ucciso a 38 anni e profondamente cattolico. Da loro ho ricevuto la testimonianza che una chiesa libera e liberatrice è una Chiesa che non cerca appoggi o privilegi dalle classi dirigenti, ma che confida solo nella potenza esaltante del Vangelo di Gesù Cristo. La Chiesa che Papa Francesco sta disegnando – conclude l’arcivescovo – vuole partire dalla realtà, dalla concretezza. Una indicazione di rotta indicata anche dal suo primo viaggio apostolico a Lampedusa nel luglio 2013. Bisogna partire dagli esclusi, dagli scartati della società, dalla lotta alle ingiustizie”.
“Il silenzio sulla mafia da parte della Chiesa siciliana – ha spiegato il professor Rosario Mangiameli, storico dell’Università di Catania – è spesso attribuito alla “necessità” negli anni dalla fine della seconda guerra mondiale alla caduta del comunismo (1989 – 90) di tenere compatto il fronte anticomunista. Minimizzando il ruolo della mafia la Chiesa avrebbe evitato di mettere in evidenza una realtà che avrebbe potuto avvantaggiare l’avversario, ritenuto il pericolo maggiore per via della professione di ateismo. Ciò può essere vero, si veda per esempio la vicenda dei frati di Mazzarino e la difesa ad oltranza fatta dalle gerarchie ecclesiastiche in diverse fasi del processo. Quella dell’anticomunismo – ha concluso Mangiameli – può essere però una spiegazione riduttiva, che vale meno per il periodo ottocentesco e primo novecentesco in cui non si sente una voce cattolica che condanni comportamenti e azioni mafiose. Tranne casi eccezionali come quello di Sturzo che conduce una vera battaglia antimafia nel comune di Palagonia”.
A moderare l’incontro Franco Nuccio, direttore di Ansa Sicilia che ha sottolineato come l’atteggiamento della Chiesa nei confronti della mafia è attraversato da varie fasi. La prima fase è quella del silenzio o dell’acquiescenza. Arcivescovo di Palermo era Ruffini che sosteneva che la mafia fosse una invenzione dei giornali e che il vero male della Sicilia fossero Danilo Dolci, che lottava a fianco dei braccianti, e il romanzo “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. Poi c’è la fase del cardinale di Palermo Pappalardo, della sua denuncia aperta della mafia nei funerali di Falcone. La terza fase è nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via d’Amelio. Nella Valle dei Templi, Papa Giovanni Paolo II lancia un’anatema e una scomunica contro i mafiosi. Parole di condanna poi ripetute da Papa Francesco”.
Il prossimo appuntamento del Progetto Educativo Antimafia sarà il 27 aprile, giorno nel quale verrà ricordato il 36° anniversario dell’uccisione di Pio La Torre e Rosario Di Salvo.
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