La Federazione italiana degli Ex allievi/e di Don Bosco, per il tramite del suo Presidente nazionale ingegnere Giovanni Costanza, ha inviato a tutti parlamentari una lettera per richiedere il loro intervento con emendamenti a garanzia di pari trattamento tra allievi e famiglie della scuola pubblica statale e allievi e famiglie della scuola paritaria al fine di scongiurare l’avverarsi di un monopolio educativo.

“Nella lettera – si legge in una nota degli ex allievi di Don Bosco – abbiamo apposto le considerazioni che ci hanno portato a tale richiesta”.

“In primo luogo, – viene spiegato – riteniamo non ci sia stata parità di trattamento tra le due tipologie di scuola. Il decreto “Cura Italia”, infatti, ha previsto inizialmente 85 milioni di euro per la didattica a distanza ad uso esclusivo delle scuole pubbliche statali. Poi, solo in sede di conversione in legge, il Parlamento ha previsto 2 milioni di euro per le scuole pubbliche paritarie: 2,30 euro per allievo delle paritarie contro gli 11,18 euro per allievo delle statali. Il nuovo decreto legge “Rilancio” non contiene misure, se non una marginale, a favore degli allievi e delle famiglie che scelgono la scuola pubblica paritaria, né tantomeno a favore delle scuole medesime.

Non chiediamo – si legge ancora nella nota – favoritismi o concessioni di privilegi, ma il rispetto del diritto a una libera scelta per l’educazione dei propri figli: lo Stato deve rimuovere gli ostacoli di ordine economico che impediscono tale libera scelta. Da tempo si propone di riconoscere alle famiglie la detraibilità delle spese sostenute, anche fissando il limite massimo attraverso il costo standard di sostenibilità, di gran lunga inferiore al costo medio unitario sostenuto per la scuola pubblica statale. L’aumento di spesa che lo Stato dovrebbe sostenere per riconoscere alle famiglie degli studenti della paritaria la detraibilità delle spese sostenute, con un limite massimo per esempio pari al 70 per cento del costo standard di sostenibilità, è stimato in 2,5 miliardi di euro. Un provvedimento del genere, oltre a creare parità di trattamento, manterrebbe viva la scuola pubblica paritaria e i 180.000 posti di lavoro del comparto.

In secondo luogo, ciò che richiediamo procurerebbe risparmio alle casse dello Stato. L’attuale scenario fa prevedere la chiusura di almeno un terzo delle scuole pubbliche paritarie. Ciò significherebbe che circa 300mila allievi della scuola pubblica paritaria a settembre sarebbero costretti a trasferirsi nelle scuole pubbliche statali. Lo Stato avrebbe un aumento di spesa che per il primo anno scolastico viene stimato in circa 2,8 miliardi di euro, a parte l’evidente difficoltà di reperire in via breve docenti e locali. A questi costi occorrerebbe aggiungere anche quelli derivanti dalle conseguenze della perdita di lavoro per almeno 60.000 lavoratori del comparto, che andrebbero a infoltire la schiera dei disoccupati di cui dovrebbe farsi in qualche modo carico lo Stato.

Così veniamo al terzo punto. Non accogliere la nostra richiesta – si legge a conclusione della nota – acuirebbe le già gravi difficoltà logistiche. L’inizio del prossimo anno scolastico è incerto per l’impossibilità delle strutture scolastiche, specie quelle statali, di ospitare gli allievi rispettando il distanziamento sociale introdotto con le misure di contrasto all’epidemia. Figuriamoci quale potrebbe essere il quadro della situazione con 300mila allievi in più. In questa direzione e nella necessità di creare un clima di collaborazione, le conferenze dei superiori e delle superiori delle congregazioni religiose (CISM e USMI) hanno già offerto allo Stato la disponibilità a far utilizzare a fini didattici parti degli edifici in cui sono ubicati gli istituti delle scuole pubbliche paritarie”.

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